Bob Dylan. Poeta errante – di Paolo Granata

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dylanLe parole di nessun altro cantautore sono state studiate, analizzate, interpretate quanto quelle di Dylan, la cui influenza nell’ambito della musica del Novecento è stata indubbiamente profonda e tutt’oggi indiscussa e si tratta della motivazione principale per la quale gli è stato assegnato il nobel 2016 per la letteratura.

È stato definito più volte un portavoce della sua generazione, prima grazie al folk revival del Greenwich Village, poi attraverso la protesta contro la guerra in Vietnam e altre vertenze sociali. Ma ha saputo anche andare oltre: la svolta rock, la conversione mistica e la successiva disillusione. A lungo è riuscito a sfuggire a domande e indagini, rifugiandosi in una sorta di fragilità arrogante, talora snobistica, spesso urtante. Terrore, impotenza, impenetrabilità, allusioni misteriose, il tutto a formare una trama senza chiave di cifratura: tutto questo è stato, ed è ancora oggi Bob Dylan.

Le pagine di questo libro riprendono in gran parte un lavoro precedente, realizzato dall’autore stesso alla fine degli anni Novanta nell’ambito di una ricerca che condusse all’Università di Bologna sulla poetica di Bob Dylan e le sue influenze letterarie. Fu un tentativo, in parte fruttuoso, per sciogliere la cifratura di quella chiave. In quegli anni, il 27 settembre del 1997 per la precisione, proprio a Bologna, vestito da cowboy, Dylan s’inchinò a talloni stretti di fronte a papa Wojtyla. L’incontro fu rapido, quasi furtivo – sembra non fosse previsto nella scaletta del maxi concerto in onore del papa – ma intenso, simbolico, e indubbiamente “pop”, agli occhi del mondo. Quella sera l’autore era lì, dietro le quinte di un palco, blindato per la presenza del pontefice, anche se il personaggio più inavvicinabile sembrava essere proprio lui, Dylan. Un suo tentativo di avvicinarlo non andò a buon fine, com’era prevedibile. Non rilasciò alcuna intervista, non parlò coi giornalisti, con nessuno. A parlar per lui quella sera furono i versi delle sue canzoni – preventivamente al vaglio dall’entourage vaticano; Wojtyla citò nel suo discorso un passaggio di Blowin’ the Wind –, fu lo stile ipnotico e a tratti biascicato della sua voce. A parlare fu forse, più di ogni altra cosa, la sua poesia.

Paolo Granata insegna Ecologia dei media e Critica della cultura all’Università di Toronto. Ha insegnato per quindici anni all’Università di Bologna, conducendo ricerche nel campo dell’estetica dei media, dell’arte contemporanea e della comunicazione museale. Ha pubblicato diversi saggi e libri tra cui Arte in rete (2001), Arte, estetica e nuovi media (2009), Mediabilia (2012), Ecologia dei Media (2015). Dal 2011 è McLuhan Centenary Fellow presso il McLuhan Centre for Culture & Technology dell’Università di Toronto. www.paologranata.it.

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