La dieta cheto può ridurre il rischio di Alzheimer

Gli scienziati hanno trovato associazioni tra batteri che vivono nell'intestino e lievi danni cognitivi, che possono portare al morbo di Alzheimer. Essi suggeriscono che una dieta chetogenica potrebbe aiutare a prevenire la malattia creando un equilibrio più sano dei microrganismi nell'intestino.

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L’Associazione Alzheimer riferisce che il 15-20% delle persone con più di 65 anni soffre di un lieve deficit cognitivo (MCI), che comporta un calo della memoria e delle stesse capacità legate ad ogni forma di ragionamento.
I medici non considerano l’MCI una forma di demenza, perché le persone che ne soffrono sono in grado di ragionare relativamente bene e di vivere in modo indipendente. Tuttavia, l’MCI (Mild Cognitive Impairment  o Disturbo Cognitivo Lieve) è associata ad un aumento del rischio di malattia di Alzheimer o di un’altra forma di demenza legata all’età.
Lo sviluppo di strategie preventive che possono essere avviate precocemente è quindi una priorità. Ma nonostante decenni di ricerca, non sono state dimostrate terapie in grado di invertire o prevenire i cambiamenti cerebrali osservati nel morbo di Alzheimer.
Una potenziale strategia, che gli scienziati hanno iniziato a esplorare, riguarda la modifica della dieta per influenzare le comunità microbiche nell’intestino.
C’è un’intima relazione tra il microbioma intestinale e il sistema nervoso centrale, con una recente ricerca che suggerisce associazioni tra particolari comunità batteriche e disturbi neurologici, tra cui MCI, demenza e Alzheimer.
In un recente studio, gli scienziati della Wake Forest School of Medicine, a Winston-Salem, NC, hanno trovato una “firma” batterica distintiva dell’intestino nelle persone con MCI.
Hanno anche scoperto che una dieta chiamata la “dieta modificata in stile mediterraneo” o dieta ketogenica, ha alterato le comunità batteriche intestinali nei volontari e ridotto i biomarcatori della malattia di Alzheimer nel liquido cerebrospinale di quelli con MCI.
Questa dieta contiene un numero limitato di carboidrati e una maggiore quantità di grassi. Si tratta principalmente di grassi mono e polinsaturi che provengono dall’olio d’oliva e dal pesce.

La dieta cheto: energia alternativa

Una dieta chetogena (o “keto”), contiene pochissimi carboidrati, che il corpo usa come carburante. Quando i carboidrati scarseggiano, l’organismo inizia ad abbattere le sue riserve di grassi per produrre molecole chiamate chetoni, come fonte di energia alternativa.
Lo stesso gruppo di ricercatori riferisce di associazioni simili tra le comunità di batteri nell’intestino – collettivamente chiamato il microbiota – la dieta della persona, e il loro rischio di MCI. Le loro scoperte sono riportate nell’ultimo numero della rivista EBioMedicine.

Microbi e salute del cervello

“Anche se non comprendiamo appieno come questi funghi contribuiscano alla malattia di Alzheimer, questo è il primo studio del suo genere a rivelare il loro ruolo nella nostra salute mentale, che speriamo infiammi il pensiero nella comunità scientifica per sviluppare una migliore comprensione di loro in relazione al morbo di Alzheimer”. Sostiene il ricercatore principale Hariom Yadav, Ph.D., un’assistente e professore di medicina molecolare presso Wake Forest.
Indica anche che le abitudini alimentari come il consumo di una dieta chetogenica possono ridurre i funghi nocivi nell’intestino, che potrebbero aiutare a ridurre i processi del morbo di Alzheimer nel cervello“, spiega Hariom.
I ricercatori hanno assegnato a 17 volontari anziani, a mangiare seguendo una dieta chetogenica in stile mediterraneo (MMKD) per 6 settimane; oppure è stata assagnata la dieta dell’American Heart Association, che è relativamente povera di grassi e ricca di carboidrati.
Undici dei partecipanti avevano MCI e sei non avevano problemi cognitivi. La loro età media era di 65 anni.
Il team ha fornito ad ogni partecipante assegnato al MMKD 2 litri di olio extra vergine di oliva, e li ha incoraggiati a mangiare pesce, carne magra e cibi ricchi di sostanze nutritive.
Dopo un periodo di 6 settimane, in cui i partecipanti hanno mantenuto la loro dieta regolare, sono passati alle diete assegnate allo studio per 6 settimane.
Gli scienziati hanno monitorato i cambiamenti nei micobiogeni dei partecipanti analizzando campioni fecali e cambiamenti nei biomarcatori dell’Alzheimer valutando campioni di liquido cerebrospinale.

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