La fine dell’Universo. Le ipotesi dell’astrofisica Katie Mack

Il decadimento del vuoto è l’idea per cui l’Universo nel quale viviamo non è completamente stabile

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Katie Mack è un’astrofisica teorica della North Carolina State University, dove attualmente svolge la mansione di Assistant Professor di Fisica. Nel corso della sua carriera accademica, la Mack ha studiato la natura della materia oscura, la fisica dell’Universo primordiale, l’evoluzione delle galassie e la natura dei buchi neri. Ma è anche molto conosciuta come divulgatrice scientifica ed è una star dei social media.

Il suo account Twitter, @AstroKatie, conta più di 350.000 follower. Ultimamente si è dedicata a un tema accattivante che ha a che fare con la fine – la fine della Terra, del sistema solare, della nostra galassia e in generale dell’Universo. E il suo libro di prossima uscita, La fine di tutto (da un punto di vista astrofisico), racconta storie di apocalissi astronomiche della vita reale (ironia della sorte, l’uscita del suo libro sui cataclismi cosmici è stata posticipata ad Agosto a causa della pandemia da Covid-19).

La rivista di divulgazione scientifica Quanta Magazine l’ha intervistata durante la sua permanenza al Perimeter Institute, per il Simons Emmy Noether Fellows Program.

Perché è importante studiare l’Universo, anche in un periodo in cui vi sono problemi più importanti che richiedono l’attenzione degli scienziati?

Non è come se ogni persona sulla Terra potesse diventare istantaneamente un epidemiologo o un dottore o un esperto in patologie respiratorie e mettere tutta la propria energia in quell’attività. Non possiamo improvvisamente abbandonare tutto e diventare delle persone diverse. So che ci sono diversi fisici che provano a sviluppare dei modelli epidemiologici della malattia, provano a mettere le loro competenze a servizio di questo enorme sforzo globale. E non so se ne verrà fuori qualcosa o meno.



In riferimento alla domanda “perché pensare all’Universo quando il mondo sta attraversando un momento così difficile”? Perché abbiamo le arti, perché abbiamo la musica e la letteratura? Essere curiosi e cercare di comprendere l’Universo in ogni modo possibile è una parte rilevante della condizione umana. Ciò che ci rende umani sono proprio quelle domande poste sopra, quel tipo di curiosità. E penso che non possiamo abbandonare tutto ciò perché in questo momento le cose vanno male.

Il tuo libro parla di come gli oggetti astrofisici – compreso l’intero Universo – spariranno. Cosa ti ha spinto a occuparti di queste tematiche?

Penso che sia la cosa più grande e più drammatica a cui si possa pensare. La distruzione dell’intero Universo. Mi piacciono quelle domande così grandi. Mi piacciono le situazioni difficili da immaginare, ma che potrebbero avere delle conseguenze gigantesche.

Nel tuo libro fai riferimento alle persone che ti hanno influenzato, con particolare riferimento a Stephen Hawking. Cosa ti ha attratto del suo lavoro?

Ho letto “breve storia del tempo“, e ho visto qualche documentario su Hawking. Ed ero così affascinata da tutte quegli argomenti così sconvolgenti – come i buchi neri, il Big Bang e il viaggio nel tempo. E l’idea che tutti quegli argomenti fanno parte del mio lavoro e che oggi li posso affrontare e conoscere in modo concreto è per me strabiliante.

All’età di 15 anni ho avuto anche la possibilità di conoscerlo, durante una sua conferenza al Caltech. Mia madre portò me e una mia amica a seguire la lezione. E mentre stavamo lasciando il luogo della conferenza ci siamo incontrati con lui mentre raggiungevamo la nostra macchina; io ero rimasta bloccata e non riuscivo a proferire parola. Ma la mia amica gli si avvicinò e gli disse che avrei voluto fargli una domanda. Le mie uniche parole furono: “Ammiro molto il suo lavoro” e lui rispose semplicemente “Molte grazie”. Quello fu il mio incontro con Stephen Hawking.

Molti di noi oggi interagiscono con gli scienziati attraverso i social media. È corretto dire che vi sono più persone che leggono i tuoi tweet di quanti andranno a seguire un corso base di fisica. Cosa significa essere uno scienziato agli occhi della gente?

Sono profondamente consapevole della responsabilità che discende dall’avere una piattaforma, dall’esporre delle idee e quindi dall’avere una certa influenza sulle persone. E maggiore è la visibilità, maggiore è la responsabilità che bisogna avere per garantire l’assoluta veridicità di ciò che si dice. Sono molto consapevole di ciò e nello stesso tempo molto preoccupata.

Ci sono state delle persone che si sono sentite ispirata da me, in un modo o in un altro. E questo fa molto piacere, ma mette anche un po’ di paura. Diverse ragazze delle scuole superiori e dei collegi inoltre mi hanno detto che vedere una giovane donna impegnata in questo campo ha dato loro il coraggio, come donne, di avventurarsi su questi temi.

Parliamo del destino a lungo termine dell’Universo. Per molti anni, consultando un qualunque testo di cosmologia, si sono trovate tre possibili soluzioni alla fine dell’Universo – che esso possa espandersi all’infinito; che esso possa collassare in un big crunch; o, in una specie di caso limite, che esso possa espandersi all’infinito ma di poco. Come sono cambiate nel tempo quelle opzioni?

Si tratta di tre opzioni che hanno un senso in un Universo senza una costante cosmologica, o senza energia oscura. Ma, a partire dagli anni ‘90, abbiamo imparato che vi è qualcosa che sta determinando un’accelerazione dell’espansione. Pertanto, è arduo adesso pensare alla possibilità di un big crunch.

È qui che entra in gioco l’idea della morte termica dell’Universo?

Si. La morte termica dell’Universo è lo stato finale di un Universo regolato da una perenne espansione accelerata. Ogni sistema gravitazionale legato – le galassie, gli ammassi di galassie – si isola sempre di più dagli altri. Quindi, ognuno avrà una sua fine, e tutto il resto viene portato sempre più lontano, in modo da perderne il contatto. Quindi in un futuro molto lontano, se ci si dirige verso la morte termica, il nostro piccolo gruppo di galassie, il Gruppo Locale, sarà isolato. Non saremo più in grado di vedere altre galassie nello stesso punto. Non si avrà più alcuna evidenza del Big Bang, in quanto non sarà possibile vedere niente al di fuori del Gruppo Locale delle nostre galassie.

Secondo questo percorso, si interromperà pure la formazione delle stelle, poiché non ci sarà più materiale per costituirle. Le stelle che oggi conosciamo si esauriranno; ci sarà tanta materia che andrà a finire nei buchi neri che, alla fine, evaporeranno. Le particelle decadranno. E se l’Universo sarà lasciato da solo per un tempo sufficientemente lungo, al suo interno rimarranno solo alcune strane particelle e un po’ di radiazione.

E quindi, in qualche modo, è questa la fine del tempo?

Da un punto di vista fisico, se si definisce la freccia del tempo come la direzione dell’entropia crescente, una volta che si è raggiunta la morte termica, la freccia del tempo cessa di esistere. E se non esiste alcuna freccia del tempo, non saprei dare una definizione alternativa al concetto di tempo.

Nel tuo libro tu fai riferimento ad altre possibili conclusioni dell’Universo, come il “grande strappo”.

Se si ha una sorta di energia oscura in cui la densità di energia non è costante, ma cresce continuamente con il tempo, allora si ha un qualcosa chiamata energia oscura fantasma. E ciò porta, in un tempo finito, alla distruzione totale dell’Universo. L’energia oscura inizierà a sopraffare il legame gravitazionale di ogni galassia. Inizierà a separare le cose che altrimenti non sarebbero state influenzate dall’espansione dello spazio. Così lo spazio stesso viene distrutto.

Quanto i fisici considerano seriamente questo scenario?

Penso che la gente non consideri seriamente questo scenario perché è difficile immaginare una teoria fondamentale che faccia quelle previsioni e sia altresì consistente con altre considerazioni sull’Universo, che noi abbiamo assunto come vere. Ma se mettiamo in campo i dati, non possiamo, né siamo tanto meno in grado di escluderli.

Anche se il grande strappo è terrificante, forse lo è ancora di più il decadimento del vuoto.

Sicuramente l’ipotesi del decadimento del vuoto è la mia preferita, in particolare per la sua drammaticità.

Il decadimento del vuoto è l’idea per cui l’Universo nel quale viviamo non è completamente stabile. Sappiamo che quando l’Universo ha avuto inizio, si trovava in uno stato di elevata temperatura ed elevata densità. E sappiamo che le leggi della fisica dipendono dalla temperatura ambientale e dall’energia ambientale. Questa dipendenza è ben visibile negli acceleratori di particelle. Vediamo che quando si hanno delle collisioni a energie molto elevate, le leggi della fisica subiscono piccole variazioni.

E così, l’Universo primordiale – quegli attimi istantaneamente successivi alla formazione –si è evoluto attraverso una serie di transizioni. E dopo una di queste transizioni, siamo finiti dentro un Universo con l’elettromagnetismo, con la forza nucleare debole e forte e con la gravità. In quelle condizioni si sono create le leggi della fisica così come oggi le conosciamo.

E se tutto questo è vero, una semplice perturbazione dell’attuale Universo potrebbe di colpo far transitare le “nostre” leggi della natura in un diverso stato in cui le leggi della fisica sono diverse, con differenti particelle elementari e differenti campi. Se ciò dovesse accadere, nel punto esatto dello spazio in cui si verifica, allora si verrebbe a formare una “bolla” di un altro stato vuoto dell’Universo. E quella “bolla” si espanderebbe a una velocità prossima a quella della luce, attraverso tutto l’Universo e distruggerebbe tutto ciò che incontra.

I fisici considerano l’idea del decadimento del vuoto più o meno seriamente rispetto al grande strappo?

In maniera assolutamente più seria, poiché questa ipotesi non viola nessun principio fondamentale conosciuto come tale. Comunque, anche se l’ipotesi è presa seriamente in considerazione, la maggior parte dei fisici ritiene che non si verificherà. La ragione che porta a questa conclusione è che il modo con cui si arriva al decadimento del vuoto come ipotesi, significa affermare che il Modello Standard della fisica delle particelle – che rappresenta attualmente la base fondante della nostra conoscenza su come funziona la fisica delle particelle – non sia l’unico possibile.

E dal nostro punto di vista, il decadimento sarebbe istantaneo?

Avverrebbe senza dolori; non se ne avvertirebbe il verificarsi. Non si avrebbe la possibilità di sapere quando accade, perché non si sentirebbe nulla. Da un momento all’altro, non esisteremmo più. E, in questo senso, non necessariamente deve essere visto in maniera tragica.

Se l’Universo è così transitorio, vale la pena preoccuparsi di tutto ciò?

È un passaggio molto critico che mi ha messo in difficoltà nel corso della stesura del mio libro, e non penso di essere arrivata a una conclusione definitiva. È differente dalla morte di una persona, perché le persone pensano che, alla loro morte, esse continueranno a vivere attraverso i figli, attraverso le azioni compiute, o attraverso quanto si è riusciti a lasciare alle persone con cui si è condivisa la vita. Ma se è l’intero cosmo a morire, tutto ciò non sarà più vero. Penso che ci sarà un punto in cui nessuno di noi avrà un ruolo. E non penso che oggi possediamo gli strumenti emozionali o filosofici per affrontare questa evenienza.

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