La mafia, origini e storia

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È morto Totò Riina detto ‘o curtu, l’uomo che nonostante abbia trascorso in carcere gli ultimi 24 anni della sua vita era finora riconosciuto come il capo dei capi di Cosa Nostra, la mafia siciliana.

Ma cos’è la mafia? Che finalità si propone come organizzazione?

A breve esamineremo un breve compendio della storia della mafia italiana ma, prima, presenteremo una versione mitologica, ed anche un po’ romantica, che questa organizzazione criminale diffuse alle sue origini per darsi un’immagine accettabile per il popolino.

Per mafia (nota anche come «onorata società»), si intendono un certo tipo di organizzazioni criminali che svolgono la loro attività sui territori strutturandosi in modo da gestire tutti gli affari criminali dell’area, reinvestendo il denaro ricavato in attività lecite allo scopo di ripulirlo ed esercitare una notevole influenza sulla popolazione, addirittura in concorrenza con lo stato. In Italia, le organizzazioni mafiose hanno origini e tradizioni secolari, soprattutto nella parte meridionale del paese.

La nascita del fenomeno è tuttora ritenuta incerta: infatti le organizzazioni di tradizione secolare sono la camorra, la ‘ndrangheta e Cosa nostra. Da quest’ultima si suppone siano sorte ulteriori organizzazioni, quali la stidda nella Sicilia centro-meridionale (nelle provincie di Agrigento, Caltanissetta, Enna e Ragusa). Da ricordare anche la Sacra Corona Unita in Puglia che sarebbe nata da una costola della Nuova Camorra Organizzata.

Secondo alcuni studiosi, all’origine del fenomeno potrebbe esserci stata l’antica setta dei Beati Paoli, attiva a Palermo nel XII secolo. Secondo altri invece sarebbe dovuta all’immigrazione in Italia di tre cavalieri spagnoli fratelli tra di loro di nome Osso, Mastrosso e Carcagnosso, appartenenti alla setta segreta Garduna, fuggiti da Toledo nel XV secolo dopo aver vendicato col sangue l’onore di una sorella, che sbarcarono nell’isola di Favignana e che si rifugiarono nelle grotte di tufo dell’isola. Tuttavia la prima volta che il fenomeno viene descritto (seppure con un diverso nome) negli atti giudiziari risale solo al 1838, quando il funzionario del Regno delle Due Sicilie Pietro Calà Ulloa (anche procuratore generale di Trapani) parlò di “unioni e fratellanze, specie di sette», dando un primo quadro agghiacciante delle complicità e delle compiacenze che consentono alla malapianta di crescere”:



A proposito di Osso, Mastrosso e Carcagnosso c’è una leggenda, diffusa probabilmente per ‘nobilitare’ la mafia, che risale addirittura agli inizi del XV secolo.
I tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso, lavata con il sangue l’onta subita da una loro sorella, scapparono nell’isola di Favignana e per scampare al carcere, si rifugiarono nelle cave di tufo.
Lì lavorarono per 29 anni, 11 mesi e 29 giorni alle regole sociali che avrebbero esportato in Sicilia, Calabria e Campania mutuandole probabilmente da quelle della Garduña, l’associazione cavalleresca fondata a Toledo nel 1412.
E nonostante l’isola di Favignana faccia parte dell’arcipelago delle Egadi, in Sicilia, il racconto dei tre cavalieri colloca la camorra all’origine delle mafie.
«La camorra risiede nell’isola della Favignana in una tomba larga, segreta e profonda».
Le mafie derivano dalla camorra anche dal punto di vista storico-documentaristico, ma con una data e in un luogo diversi.
Sarebbero un fenomeno nato a Napoli nelle carceri borboniche su imitazione dei comportamenti massonici.
Si concretizzava in una sorta di estorsioni fra galeotti per la gestione del posto letto o dei posti a sedere all’interno delle celle.
Isaia Sales, docente di criminalità organizzata presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, lo dice chiaramente: «La camorra è l’unica organizzazione disorganizzata. Questa impostazione di gruppi anarchici slegati gli uni agli altri non è mutata fino a oggi e si spiega così anche l’alto livello di litigiosità al suo interno. Il frastagliamento sul territorio, anziché indebolire la struttura, la rende ancora più forte. Quando viene sgominata una banda ce n’è subito un’altra pronta a prendere il posto. È la struttura con il più alto rimpiazzo dei boss: un esercito delinquenziale con un ricambio infinito».

Se la camorra si caratterizza per l’alta litigiosità al suo interno, per la sua imprevedibilità e per il ricorso alla violenza in maniera disinvolta e frequente, dal punto di vista del rituale di affiliazione non sembrano esserci grandi differenze con Cosa nostra e ‘ndrangheta.
Anche in questo caso esiste una ‘pungitura’ per far sgorgare il sangue del nuovo affiliato.
Anzi. I tre cavalieri spagnoli che, sempre secondo la mitologia mafiosa, simboleggiano Gesù Cristo, San Michele Arcangelo (patrono anche della polizia di Stato) e San Pietro su un cavallo bianco a guardia della posta della società, promettono che «la camorra in mano mia è come l’ostia consacrata in mano del sacerdote che a morire sì, ma abbandonarla mai».
A loro si deve anche la formalizzazione del rituale, matrice di tutte le successive varianti: «Giuro su questo pugnale d’omertà con la punta bagnata di sangue e davanti l’onorata società di essere fedele ai miei compagni e di rinnegare padre, madre, sorelle e fratelli e di adempiere tutti i miei doveri e, se necessario, anche col sangue».
Il giuramento era suggellato da una stretta di mano e dal bacio da dare al capo della società.
Il bacio è sicuramente il gesto rituale più noto tra quelli legati all’affiliazione in Cosa nostra.

Di fatto, abbandonando la mitologia, la mafia nacque come braccio armato della nobiltà feudale per la repressione delle rivendicazioni dei contadini. A fine Ottocento si strinsero i legami tra mafia e politica, con l’ascesa di mafiosi al potere locale e l’affermarsi della prassi dello scambio di voti e favori, mentre si consolidava un rapporto di dominio-protezione della mafia sul territorio in cui operava. Il salto di qualità coincise con l’emigrazione meridionale negli USA agli inizi del 20° secolo. La mafia assunse un ruolo importante nella gestione dell’immigrazione clandestina, imponendo il proprio controllo sulla forza-lavoro e il racket sulle attività dell’area occupata, e intensificando le pratiche di scambio elettorale. Negli anni 1920 la domanda contadina di terra e le misure governative per la formazione di nuove proprietà permisero alla mafia di porsi come intermediario tra latifondisti e cooperative contadine.

Durante il fascismo Cesare Mori, prefetto di Palermo (1925-28), fu inviato dal duce a stroncare la mafia attraverso una feroce repressione ma, tra il 1943 e il 1945 la mafia, a cui gli Alleati si erano appoggiati per preparare lo sbarco, strinse rapporti con il movimento separatista e, dopo il 1945, con esponenti dei partiti al governo, che la legittimarono come forza antisindacale, anticontadina e anticomunista. Mentre le cosche locali si radicavano nel tessuto degli enti regionali, i mafiosi rientrati dagli USA fecero della Sicilia la centrale mediterranea del narcotraffico e del traffico di armi. La mafia del palermitano si organizzò quindi in ‘cupola’ (Cosa nostra), avviò un processo di controllo della criminalità organizzata e individuò nuovi settori di profitto (edilizia, mercati generali, appalti), configurandosi negli anni 1960 come organizzazione criminale implicata in attività ‘urbano-imprenditoriali’.

Negli anni 1970-80 la mafia divenne protagonista del narcotraffico, intrecciando rapporti con organizzazioni straniere. Nel 1979 iniziò una violenta offensiva volta a rimuovere gli ostacoli alla sua crescita con l’uccisione di uomini politici, poliziotti e magistrati, mentre si verificavano anche grandi conflitti intestini, dai quali emerse vincitore il gruppo detto dei Corleonesi. Vittime della mafia furono, tra gli altri, P. Mattarella nel 1980, P. La Torre e il generale C.A. Dalla Chiesa nel 1982 e il giudice R. Chinnici nel 1983. il culmine di tale guerra fu nel 1992 l’assassinio dei giudici G. Falcone e P. Borsellino, del finanziere N. Salvo e del deputato democristiano S. Lima. Nel frattempo, però, le rivelazioni di una serie di mafiosi ‘pentiti’ consentirono di compiere passi importanti nella lotta antimafia, arrivando all’arresto dei boss corleonesi L. Liggio, S. Riina e, nel 2006, B. Provenzano, insieme a moltissimi altri capimafia.

In passato il fenomeno mafioso è stato considerato frutto di strutture economico-sociali particolarmente arretrate, di un universo sociale composto da poveri contadini, grandi latifondisti e grandi affittuari, i cosiddetti gabellotti, dai cui ranghi provenivano molti capimafia. Altrettanto consolidata è l’interpretazione che chiama in causa una cultura ‘mediterranea’ lontana dai concetti moderni di Stato e legalità, incline a regolare i conflitti facendo ricorso alla legge non scritta della vendetta o faida. Secondo tale lettura, la famiglia più o meno patriarcale sarebbe il fulcro dell’organizzazione mafiosa, e la Sicilia ‘tradizionale’ esprimerebbe quest’unico modello di aggregazione sociale. La mafia, tuttavia, è riuscita a impiantarsi o riprodursi anche nei più progrediti Stati Uniti, attraverso flussi migratori e traffici di scala transoceanica, e nel suo stesso luogo d’origine è sopravvissuta con grande facilità al mutamento storico-sociale intervenuto con l’avvento della modernità.

La mafia ha le caratteristiche di una società segreta, o di un insieme di società segrete, sia pure collegate al complesso della cultura o della società siciliana, nelle quali si entra attraverso un rito di affiliazione e che restano stabili nel tempo in determinati territori. Oggi tale organizzazione viene indicata come Cosa nostra ma anche in passato, quando quest’espressione non esisteva, si sapeva che la mafia si articolava in gruppi locali, i quali talvolta potevano agire d’accordo tra loro, in altri casi competere e anche confliggere violentemente. Con riferimento all’intrigo che in quei luoghi si consumava, questi gruppi erano detti coschenasse, o anche talora partiti.

Non è peraltro vero che nell’Ottocento siciliano la famiglia fosse l’unico modello possibile di aggregazione sociale. In quei tempi l’isola conosceva un fiorire di confraternite, società di mutuo soccorso, circoli, e nel passaggio al nuovo secolo anche una complessa struttura di partiti locali. Queste associazioni da un lato rappresentarono modelli disponibili, e dall’altro luoghi all’interno dei quali le fazioni più o meno mafiose poterono occultarsi. Per spiegare i caratteri di segretezza e particolare compattezza riscontrabili nelle ‘fratellanze’ di mafia, molte fonti ottocentesche chiamarono in causa anche il modello delle logge massoniche, terreno classico degli intrighi dei gruppi dirigenti.

Nonostante la letteratura descriva spesso, e con toni rassegnati, la mafia come un’organizzazione onnipotente ed imbattibile, infiltrata e radicata fin nelle più alte istituzioni dello stato, può essere efficacemente combattuta, e lo è stata con buon successo sia in Italia sia negli Stati Uniti a partire dall’inizio degli anni 1980, grazie a nuove leggi, nuove istituzioni specializzate nel contrasto alla criminalità organizzata, e agli stessi drammatici conflitti interni all’universo mafioso che hanno visto molti affiliati (i così detti pentiti) collaborare con le autorità e rivelare i segreti dell’organizzazione.

Fonti: enciclopedia Treccani, wikipedia

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