La medicina medioevale durante la Morte Nera

La spaventosa epidemia di peste, chiamata morte nera, che dal 1346 decimò la popolazione europea diede un bello scossone alla sclerotizzata medicina medioevale

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La medicina medioevale durante la Morte Nera
La medicina medioevale durante la Morte Nera

Quando la spaventosa epidemia di peste, chiamata successivamente la Grande Morte oppure la Morte Nera, colpì l’Europa a partire dal 1346, rivelò ben presto l’impotenza della medicina medioevale.

La “scienza” medica si basava essenzialmente sugli insegnamenti dell’antico medico greco Ippocrate, del medico islamico Avicenna e del medico romano Galeno. Dei tre, Avicenna era quello più recente essendo morto circa tre secoli prima, nel 1037.

I medici potevano essere divisi, grossolanamente, in quattro gruppi principali. Il primo gruppo era composto da medici che erano in possesso di titoli universitari e conoscevano la teoria medica ma raramente si prendevano cura dei malati. Poi c’erano i chirurghi che avevano una buona esperienza clinica ma erano quasi del tutto sprovvisti di ogni base teorica.

Seguivano i barbieri che eseguivano piccoli interventi chirurgici e salassi. L’ultimo gruppo era composto principalmente da donne che praticavano la medicina popolare, basata sulle erbe e su altre sostanze, spesso mescolate secondo intrugli trasmessi oralmente da generazione in generazione.

La pandemia di peste evidenziò ben presto l’inefficacia delle cure proposte dai medici medioevali, che con l’inasprirsi dell’epidemia e la sua alta letalità, per paura dell’infezione iniziarono ad evitare di visitare gli ammalati.

Nell’ottobre 1348, su richiesta del re Filippo VI di Francia, a quarantanove esperti medici dell’Università di Parigi fu chiesto di determinare la causa della peste. Il loro lavoro, il Consilium di Parigi, concluse che la ragione della peste era al di là della comprensione umana; essi avanzarono però una possibile spiegazione. La Morte Nera sarebbe stata causata da una congiunzione dei pianeti Saturno, Marte e Giove all’una di notte del 20 marzo 1345, che avrebbe “avvelenato” l’aria con miasmi malsani.



I rimedi curativi dei 49 saggi era perlomeno bislacchi (ed ovviamente del tutto inutili) come respirare vapori di incenso e camomilla oppure una dieta alimentare priva di carne grassa ed olio d’oliva. Altri medici si spingevano ancora più in la nel proporre rimedi balzani ed ovviamente inefficaci come evitare di dormire durante il giorno, fare il bagno o avere rapporti sessuali.

L’università di Montpellier raccomandava invece di igienizzare le stanze degli appestati con acqua di rose e posizionare bacinelle di aceto in grado di neutralizzare le esalazioni velenose dell’aria infetta. Una delle conseguenze della pesta fu che si sbriciolò la divisione tra medici universitari, custodi delle teorie ortodosse e i “clinici”, impegnati direttamente sul campo, attraverso l’osservazione delle dinamiche di trasmissione e di evoluzione tra i contagiati della Morte Nera.

I chirurghi acquisirono un rinnovato prestigio e si rafforzò l’idea che il corpo umano fosse importante per studiare la malattia. Inoltre la decimazione operata dalla peste di moltissimi medici e chirurghi permise un ricambio profondo della classe medica, con individui meno condizionati rispetto alle teorie del passato e capaci di introdurre innovazioni testate direttamente sul campo.

Una delle conseguenze fu che i libri di testo di medicina iniziavano a circolare non in latino, dominato da un numero sempre più decrescente di dotti, ma nelle lingue “volgari”, ovvero quelle parlate da gran parte delle popolazioni.

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