La ricerca di civiltà aliene: l’equazione di Drake

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All’inizio degli anni ’60 del secolo scorso alcuni scienziati cominciarono a porsi il problema della ricerca di vita intelligente extraterrestre nell’universo.

L’astronomo Frank Drake nel 1961 provò a calcolare il numero possibile di vite intelligenti nell’universo, definendo una catena di fattori per giungere alla stima. L’equazione serve infatti a stimare la probabilità che una vita aliena si possa essere sviluppata fino ad uno stato tecnologicamente avanzato in grado di poter tentare un contatto con altre civiltà nell’universo.

L’equazione richiede un lungo elenco di variabili, come il numero di stelle nell’universo, il numero di pianeti, la porzione di pianeti abitabili per stella e così via. Secondo l’Istituto SETI per la ricerca extraterrestre, l’equazione di Drake è uno strumento generalmente accettato per esaminare tutti i fattori che possono influenzare la probabilità di vita intelligente esistente altrove nell’universo.

La formula dell’equazione di Drake è la seguente:

{\displaystyle N=R^{*}~\times ~f_{p}~\times ~n_{e}~\times ~f_{l}~\times ~f_{i}~\times ~f_{c}~\times ~L}

dove:



  • N   è il numero di civiltà extraterrestri presenti oggi nella nostra Galassia con le quali si può pensare di stabilire una comunicazione;
  • R*   è il tasso medio annuo con cui si formano nuove stelle nella Via Lattea;
  • fp    è la frazione di stelle che possiedono pianeti;
  • ne   è il numero medio di pianeti per sistema planetario in condizione di ospitare forme di vita;
  • fl    è la frazione dei pianeti ne su cui si è effettivamente sviluppata la vita;
  • fi    è la frazione dei pianeti fl su cui si sono evoluti esseri intelligenti;
  • fc    è la frazione di civiltà extraterrestri in grado di comunicare;
  • L    è la stima della durata di queste civiltà evolute.

Può non risultare immediatamente chiaro perché nell’equazione compaia il fattore R, cioè perché il numero di civiltà intelligenti esistenti in un dato momento nella galassia debba essere direttamente proporzionale al tasso con cui si formano nuove stelle: in effetti, il prodotto dei primi sei fattori (escluso cioè L) dà il numero di civiltà extraterrestri che nascono ogni anno; moltiplicando poi per la loro durata si ottiene il numero di tali civiltà esistenti in un momento qualsiasi (ad esempio, se si formano in media 0,01 civiltà all’anno e ciascuna dura in media 500 anni, allora in ogni momento ne esisteranno in media 5).

La formula originale di Drake può essere riscritta più realisticamente sostituendo al tasso di formazione stellare odierno un parametro corrispondente al tasso con cui le stelle si formavano diversi miliardi di anni fa, cioè nell’epoca in cui si suppone che si siano sviluppate le stelle intorno alle quali oggi potrebbe esistere la vita (se il Sole fosse un esempio tipico, questo significherebbe circa 5 miliardi di anni fa).

Come molti esperti hanno evidenziato, l’equazione di Drake è un modello molto semplice, che non tiene conto di alcuni parametri potenzialmente rilevanti. Poiché è proprio la possibilità di un contatto che interessa la comunità dei progetti SETI, sono stati proposti molti fattori e modifiche addizionali della formula originaria. Tra di essi, per esempio, parametri come il numero di sistemi planetari che una specie intelligente potrebbe colonizzare, sviluppando così nuove civiltà, o il numero di volte che una civiltà potrebbe ricomparire sullo stesso pianeta, eccetera.

 

Fattore METI

Qualche tempo fa l’astronomo russo Alexander Zaitsev ha sottolineato che essere in una fase comunicativa non è la stessa cosa che emettere messaggi finalizzati a un contatto alieno. Gli umani ad esempio, pur essendo in una fase comunicativa, non sono una civiltà comunicativa in senso interplanetario: noi non trasmettiamo regolarmente e di proposito messaggi destinati ad altri sistemi stellari. Per questo motivo ha suggerito di includere nell’equazione classica un “fattore METI” (dove METI sta per Messaging to Extra-Terrestrial Intelligence, “Invio di messaggi a intelligenze extraterrestri”). Tale fattore è definito come “la frazione di civiltà in grado di comunicare con una consapevolezza planetaria chiara e non paranoica”, cioè che si impegnano deliberatamente e attivamente in trasmissioni interstellari.

Naturalmente il problema più impegnativo per la ricerca è quello di determinare il valore dei fattori che figurano nell’equazione; esistono considerevoli divergenze sul valore da attribuire a ciascun parametro, le quali si traducono in un profondo disaccordo sul valore finale di N.

In questa sezione sono riportati i valori usati da Drake e dai suoi colleghi nel 1961.

R* – tasso di formazione stellare nella Via Lattea

Il valore di R* si ricava da dati sperimentali astronomici noti con ragionevole precisione, ed è il termine dell’equazione meno discusso. Drake e i suoi colleghi scelsero un valore R* di 10 stelle nuove all’anno (come media sull’arco di vita della nostra galassia).

fp – la frazione di tali stelle che possiede pianeti

Il termine fp è meno sicuro, ma è comunque molto meno dubbio dei parametri seguenti. Si decise di inserire fp = 0,5 (ipotizzando cioè che metà delle stelle possieda pianeti).

ne – il numero medio di pianeti (o satelliti) per sistema planetario che presentano condizioni potenzialmente compatibili con la vita

Il valore di ne venne basato sulle caratteristiche del nostro sistema solare, dato che negli anni sessanta era quasi impossibile rilevare pianeti terrestri extrasolari, a causa delle loro ridotte dimensioni. Venne usato ne = 2 (ogni stella con un sistema planetario possiede due pianeti capaci di supportare la vita).

fl – la frazione di essi che effettivamente sviluppa la vita

Per fl Drake usò il valore 1 (il che significherebbe che tutti i pianeti in grado di farlo sviluppano la vita); ma questa scelta risulta problematica, sempre in relazione al nostro sistema solare, perché è in contraddizionecon il valore di ne (a meno di non scoprire che anche Marte ospita o ha ospitato vita intelligente). Inoltre, la scoperta di numerosi pianeti gioviani (giganti gassosi) in orbite vicine alle loro stelle ha fatto nascere dei dubbi sul fatto che sia comune che i pianeti terrestri sopravvivano alla nascita del loro sistema solare. Infine, la maggior parte delle stelle della nostra galassia sono nane rosse, intorno alle quali risulta improbabile che si sviluppi la vita. D’altro canto, la possibilità che la vita nasca anche sui satelliti e non solo sui pianeti può compensare questi fattori, anche se rende più complessa la questione.
Prove geologiche ricavate dallo studio della Terra suggeriscono che fl potrebbe essere molto alto; la vita sulla Terra sembra essere iniziata quasi nello stesso periodo in cui si sono presentate le condizioni favorevoli, suggerendo che l’abiogenesi potrebbe essere relativamente comune laddove le condizioni la rendono possibile. La stessa idea sembra essere supportata anche dai risultati di esperimenti come quello di Miller-Urey, che dimostrano che in condizioni adeguate le molecole organiche possono formarsi spontaneamente a partire da elementi semplici. Tuttavia queste prove si basano esclusivamente su dati relativi alla Terra, cosicché la base statistica è estremamente ridotta; e inoltre sono influenzate dal principio antropico, nel senso che la Terra può non essere un campione perfettamente tipico, visto che siamo obbligati a sceglierla come modello perché su di essa la vita si è effettivamente sviluppata.
fi – la frazione di essi che effettivamente sviluppa vita intelligente e fc – la frazione di essi che è in grado e decide di comunicare
Difficoltà legate al principio antropico si pongono anche nella stima di fi e fc quando si considera la Terra come modello. Un’intelligenza capace di comunicare si è sviluppata su questo pianeta solo una volta in 4 miliardi di anni di storia della vita sulla Terra: se generalizzata, questa considerazione implica che solo pianeti piuttosto vecchi possono supportare vita intelligente in grado di tentare comunicazioni interplanetarie. D’altronde, per quanto riguarda l’uomo, la capacità di intraprendere tentativi di comunicazione extraterrestre si è sviluppata piuttosto in fretta, appena 100 000 anni dopo la nascita della specie Homo sapiens, e appena 100 anni dopo lo sviluppo delle capacità tecnologiche necessarie. Si scelse di valutare entrambi i fattori come 0,01 (il che significa che su un centesimo dei pianeti in cui si sviluppa la vita tale vita è intelligente, e che un centesimo delle forme di vita intelligenti sviluppa la capacità di comunicare su distanze interplanetarie).

L – la durata media della fase comunicativa di ognuna di queste civiltà

Anche il fattore L è estremamente difficile da valutare, ma infine si decise che 10 000 anni poteva essere un valore verosimile. Carl Sagan ha sostenuto che è proprio l’estensione della vita di una civiltà il fattore più importante che determina quanto grande sia il numero di civiltà nella galassia: egli cioè ha posto con forza l’accento sull’importanza e sulla difficoltà per le specie tecnologicamente avanzate di evitare l’autodistruzione. Nel caso di Sagan, l’equazione di Drake è stata un importante fattore motivante per il suo interesse nei problemi ambientali e per i suoi sforzi di sensibilizzazione contro la proliferazione nucleare.

I valori di Drake producono un valore N = 10 × 0,5 × 2 × 1 × 0,01 × 0,01 × 10 000 = 10.

Ogni variazione dei parametri, anche rimanendo nei limiti della verosimiglianza scientifica, causa notevoli variazioni nel risultato N, portando a aspre contrapposizioni tra “ottimisti” e “pessimisti”. I valori di N tipicamente proposti dagli “ottimisti” si aggirano intorno a 600 000, mentre quelli proposti dai “pessimisti” sono nell’ordine di 0,0000001.

Stime attuali dei parametri

Le nuove conoscenze acquisite nel corso degli anni hanno permesso di utilizzare nuove stime, considerate più attendibili, per i parametri dell’equazione di Drake:

R* – tasso di formazione stellare nella Via Lattea

I calcoli più recenti della NASA e dell’ESA indicano che il tasso di formazione stellare attuale nella nostra galassia è di 7 stelle all’anno.

fp – la frazione di tali stelle che possiede pianeti

Da recenti ricerche di pianeti extrasolari risulta che il 40% di stelle simili al Sole possiedono pianeti, e la frazione reale potrebbe essere molto maggiore, poiché solo pianeti considerevolmente più massivi della Terra possono essere rilevati con la tecnologia attuale. Osservazioni all’infrarosso dei dischi di polvere intorno a stelle giovani suggeriscono che il 20-60% delle stelle paragonabili al Sole debbano possedere pianeti terrestri. Osservazioni di fenomeni di microlenti gravitazionali, abbastanza sensibili da rilevare pianeti piuttosto lontani dalle loro stelle, vedono pianeti in circa un terzo dei sistemi esaminati (valore approssimato per difetto, visto che questo sistema è in grado di rilevare solo una parte dei pianeti). La missione Kepler, dai dati iniziali, stima che circa il 34% dei sistemi ospiti almeno un pianeta.

ne – il numero medio di pianeti (o satelliti) per sistema stellare che presentano condizioni potenzialmente compatibili con la vita

La maggior parte dei pianeti osservati ha orbite molto eccentriche, o troppo vicine al sole per garantire temperature adatte alla vita. Comunque sono noti diversi sistemi planetari che assomigliano maggiormente a quello solare, come HD 70642, HD 154345, Gliese 849 e Gliese 581. Nelle zone abitabili intorno a queste stelle potrebbero anche esserci altri pianeti paragonabili alla Terra ancora da scoprire. Inoltre, la varietà di sistemi stellari che possono presentare zone di abitabilità non è limitata esclusivamente alle stelle simili al Sole e ai pianeti simili alla Terra; attualmente si ritiene che anche pianeti vincolati a nane rosse in modo da rivolgere alla stella sempre la stessa faccia potrebbero avere zone abitabili, e alcuni dei grandi pianeti già scoperti potrebbe, potenzialmente, supportare la vita.
All’inizio del 2008, due gruppi di ricerca indipendenti hanno concluso che Gliese 581 d potrebbe essere abitabile. Poiché sono noti circa 200 sistemi planetari, si può stimare in modo abbastanza approssimativo che ne > 0,005. Nel 2010, i ricercatori hanno annunciato la scoperta di Gliese 581 g, un pianeta di 3,1 volte la massa della Terra quasi nel centro della zona abitabile di Gliese 581, un valido candidato per essere il primo pianeta extraterrestre abitabile mai scoperto. Data la vicinanza di Gliese 581 e il numero di stelle esaminate con un livello di dettaglio sufficiente a rilevare pianeti terrestri, la percentuale di stelle che possiedono pianeti simili alla Terra dovrebbe essere del 10-20%.
Anche noto il numero di pianeti che si trovano in una zona abitabile, comunque, determinare quanti di essi presentano la giusta combinazione di fattori può essere difficile. Inoltre, se l’ipotesi della rarità della Terra è valida, l’insieme di caratteristiche verificate sulla Terra potrebbe non essere per niente comune, e il numero ne potrebbe essere estremamente basso, fino a tendere a zero.

fl – la frazione di pianeti abitabili che effettivamente sviluppa la vita

Nel 2002, Charles H. Lineweaver e Tamara M. Davis (dell’Università del Nuovo Galles del Sud e dell’Australian Centre for Astrobiology) hanno usato un ragionamento statistico basato sul tempo impiegato per svilupparsi dalla vita terrestre per stimare fl, ottenendo che esso deve essere maggiore di 0,13 sui pianeti più vecchi di un miliardo di anni.

fi – la frazione di essi che effettivamente sviluppa vita intelligente

Questo valore rimane particolarmente controverso. Coloro che si esprimono in favore di un valore basso, come il biologo Ernst Mayr, evidenziano che dei miliardi di specie che sono esistite sulla Terra solo una è diventata intelligente. Coloro che sono in favore di valori più alti sottolineano invece che la complessità degli esseri viventi tende ad aumentare lungo il corso dell’evoluzione, e ne concludono che l’apparizione di vita intelligente, prima o poi, sia quasi inevitabile.

fc – la frazione di essi che è in grado e decide di comunicare

Anche se si sono fatte molte speculazioni, su questo parametro non sono disponibili dati concreti.

In un articolo comparso su Scientific American, lo scrittore scientifico Michael Shermer ha proposto per L il valore di 420 anni, basando la sua stima sulla durata media di sessanta civiltà storiche[. Utilizzando ventotto civiltà più recenti (successive all’Impero romano) il valore sarebbe, per le “civiltà moderne”, 304 anni. Va però notato che ai fini dell’equazione di Drake questi valori non sono del tutto soddisfacenti, perché nella storia dell’umanità in generale si è avuto un progresso tecnologico abbastanza lineare – cioè ogni civiltà subentrata a una precedente ha conservato e migliorato le realizzazioni già ottenute. Perciò il valore in anni deve tener conto non di una singola civiltà nel senso storico e culturale del termine, ma di una specie nella prospettiva del suo livello di sviluppo tecnologico globale. Nella versione ampliata dell’equazione che tiene conto dei fattori di ricomparsa, questa mancanza di specificità nella definizione di “civiltà” non influenza il risultato finale, poiché il succedersi di diverse culture può essere descritto come un aumento del fattore di ricomparsa anziché come un aumento di L: una civiltà si conserva come una successione di culture.

L – la durata media della fase comunicativa di ognuna di queste civiltà

Altri, come l’astrobiologo David Grinspoon, hanno suggerito che una volta che una civiltà si è sviluppata essa potrebbe superare tutte le minacce poste alla sua sopravvivenza, e poi sopravvivere per un periodo indefinito, portando L all’ordine dei miliardi di anni.

Valori basati sulle stime citate,

R* = 7/anno, fp = 0,5, ne = 2, fl = 0,33, fi = 0,01, fc = 0,1, e L = 10 000 anni

danno come risultato

N = 7 × 0,5 × 2 × 0,33 × 0,01 × 0,1 × 10 000 = 23,1
Finestra temporale
Se la nostra galassia si è formata circa 10 miliardi di anni fa, considerando come esempio la vita intelligente sul nostro pianeta che si è evoluta in circa 4 miliardi di anni, possiamo calcolare la distribuzione di queste civiltà nell’arco temporale di vita della galassia.
A tal proposito vorrei proporre la seguente formula:
Wt=N x ft : (ATt – ATm)
Dove:
Wt = Finestra temporale.
ATT= Arco temporale Totale (età presunta della “Via Lattea”) 10 Miliardi di anni;
Atm = Inizio dell’arco temporale da considerare che porta una civiltà allo stadio

comunicativo

(Per analogia con il nostro pianeta ho considerato circa l’età presunta della “Terra” 4 Miliardi di anni).
N = Numero di civiltà (dedotto dall’equazione di Drake) “23,1”.
ft = “Frazione Temporale” viene desunta ipotizzando che i 10 miliardi di anni di vita della nostra galassia vengano calcolati come le ore dell’orologio, quindi una unità è uguale a 10 dodicesimi di Miliardo che equivale a circa 833,33 Milioni di anni, quindi la sua frazione su base sessantesimale è 833,33 : 60 = 166,667 Milioni di anni.
Di conseguenza il risultato della formula sarà:
Wt = 23,1 x 166,667 : (10 – 4) = 641.667 (Milioni di anni)

Critiche

Le critiche all’equazione di Drake seguono per la maggior parte dall’osservazione che molti termini della formula sono in gran parte completamente congetturali. Perciò l’equazione non può portare a nessun tipo di conclusione. Questa critica, e quelle di questo tipo, non sono in realtà rivolte contro la validità dell’equazione in sé; piuttosto evidenziano che i valori da inserire nella formula ci sono noti in gran parte con un margine di incertezza inaccettabile. Il valore teorico dell’equazione di Drake comunque rimane indiscusso; inoltre, tenendo presente che Drake la formulò come indicazione di massima in vista di future discussioni su civiltà extraterrestri, il suo valore come punto di partenza per il dibattito è notevole: solo in seguito si pone il problema di come procedere sperimentalmente.

Un’altra limitazione dell’equazione, che pone le basi di tutt’altro tipo di critiche, consiste nel fatto che i parametri che compaiono nella formula fanno riferimento alla vita intesa in termini strettamente terrestri, cioè a un tipo di esseri approssimativamente umanoidi. Ad esempio il modo in cui generalmente si calcola il valore di fe (se non la stessa presenza nella formula di un termine di questo tipo) sembra dare per scontato che la vita possa esistere solo in forme sostanzialmente simili a quelle a cui siamo abituati sulla Terra; mentre in linea di principio non è possibile escludere completamente che forme di vita intelligente radicalmente diverse dagli umani possano svilupparsi, ad esempio, su pianeti di tipo gioviano. Evitando, come molti ritengono opportuno fare, le posizioni antropocentriche o carbonio-scioviniste, il numero di specie intelligenti nella galassia in teoria potrebbe aumentare sensibilmente.

L’equazione di Drake e il paradosso di Fermi

Il fisico italiano Enrico Fermi propose nel 1950 un paradosso, che oggi dal suo nome è comunemente noto come paradosso di Fermi, che può essere formulato così: se nell’universo esiste un gran numero di civiltà aliene, perché la loro presenza non si è mai manifestata? (Dove sono tutti quanti?)

Dal momento che nel 1950 l’equazione di Drake non era ancora stata formulata, Fermi dovette inferire l’esistenza di un gran numero di civiltà extraterrestri dal principio copernicano e dai problemi di stima complessi che egli era abituato a porsi e a risolvere (problema di Fermi), di cui l’esempio più noto è il problema degli accordatori di pianoforte. In questo senso, Fermi fu un precursore di Drake nello stimare delle probabilità complesse come quella di un contatto con intelligenze aliene.

Comunque, l’osservazione di Fermi risulta davvero paradossale solo partendo dal presupposto che esista un gran numero di civiltà extraterrestri in grado di comunicare, cioè che l’N dell’equazione di Drake sia alto. Se le civiltà tecnologiche nella nostra galassia sono rare, il fatto che non siano mai entrate in contatto con noi non è sorprendente. Al contrario, il fatto che non sia mai avvenuto nessun tipo di contatto può costituire una dimostrazione del fatto che N è piuttosto basso, se non uguale a uno.

Se il paradosso di Fermi costituisce un argomento che tende a ridimensionare le stime troppo ottimistiche del valore di N, tuttavia bisogna considerare il fatto che esiste anche un limite inferiore per il valore di N, posto dall’esistenza della nostra stessa specie. Indipendentemente dal principio antropico infatti nella nostra galassia esiste almeno una specie intelligente in grado di comunicare (la nostra), il che significa che N deve essere maggiore o uguale a uno. Le stime che vertono su ordini di grandezza di molto inferiori all’unità sono quindi da giudicare eccessivamente restrittive.

Rivisitazione dell’equazione di Drake

Un recente studio afferma di aver rivisitato l’equazione di Drake e di aver tratto una conclusione sorprendente: ET è già esistito, ma non è riuscito ad arrivare fino a noi. Secondo lo studio diverse sarebbero state le civiltà aliene esistite durante la lunga storia dell’universo.

Invece di chiederci se esistono civiltà extraterrestri ora, ci siamo chiesti: ‘Siamo l’unica specie tecnologica che sia mai esistita? Questo spostamento di attenzione elimina l’incertezza su civiltà e vita biologica e ci permette di affrontare ciò che chiamiamo ‘la domanda archeologica’: quante civiltà si sono evolute ad uno stato tecnologicamente avanzato fino ad oggi?

Invece di cercare di indovinare le probabilità dello sviluppo di una società tecnologicamente avanzata, la nuova equazione gira intorno a questa incertezza e calcola le probabilità che l’umanità sia l’unica civiltà avanzata in tutta la storia dell’universo osservabile. Con questo si è tentato di determinare la linea di demarcazione tra un universo in cui l’umanità è l’unico esperimento di civiltà e uno in cui sono esistiti altri prima di noi.

Naturalmente, non abbiamo idea di quanto probabile sia che una specie intelligente si evolverà in un dato pianeta abitabile ma con questo metodo siamo in grado di dire esattamente quanto sono basse le probabilità che noi siamo la sola civiltà che l’universo abbia prodotto.

Usando questo approccio, gli astrofisici Frank e Sullivan calcolano quanto improbabile sia che la nostra sia l’unica civiltà evoluta dell’universo, di fronte ai miliardi di galassie e di stelle che compongono l’universo.

 

 

Nella ricerca, Adam Frank e Woodruff Sullivan offrono una nuova equazione per affrontare una domanda leggermente diversa: Qual è il numero di civiltà avanzate sviluppatesi nel corso della storia dell’universo osservabile? L’equazione di Frank e Sullivan prende spunto da quella di Drake, ma elimina la necessità di L.

La loro argomentazione si incardina sulla recente scoperta di quanti pianeti possano esistere attorno alle stelle che finora abbiamo osservato, e come molti di essi si trovino effettivamente in quella che gli scienziati chiamano “zona abitabile”. Questo permette di Frank e Sullivan di definire un numero chiamato Nast. Nast è il prodotto di R*, il numero totale di stelle, per F(p), la frazione delle stelle che formano i pianeti, e per N(e), il numero medio di tali pianeti nelle zone abitabili delle loro stelle.

Gli scianziati hanno poi espresso l’equazione in quella che loro definiscono la “Forma archeologica” del equazione di Drake, che definisce A come il “numero di specie tecnologiche che si sono sempre formate nel corso della storia dell’Universo osservabile.”

La loro equazione A = Nast * Fbt, descrive A come prodotto di Nast – il numero di pianeti abitabili in un dato volume dell’universo – moltiplicato per Fbt – la probabilità che una specie tecnologica si evolva su uno di questi pianeti. Il volume potrebbe essere considerato, per esempio, l’intero Universo, o semplicemente la nostra Galassia.

Il risultato? Applicando i nuovi dati sugli esopianeti realmente osservati in un dato volume di spazio, Frank e Sullivan trovano che la civiltà umana è (stata) l’unica nel cosmo solo se le probabilità che una civiltà si possa sviluppare su un pianeta abitabile sono meno di circa una su 10 miliardi di miliardi, ossia una su 10 alla potenza di 22.

Una probabilità su 10 miliardi di miliardi di miliardi è incredibilmente piccola”, dice Frank. “Per me, questo significa che altre specie intelligenti si sono molto probabilmente evolute prima di noi.

Il problema è quanto a lungo una civiltà mantiene il suo status di “società tecnologicamente avanzata” prima di scomparire. Se il paragone è la nostra specie, la probabilità di metterci in contatto con ET, secondo Sullivan e Frank, è davvero piccola, se non nulla.

L’universo ha più di 13 miliardi di anni”, ha detto Sullivan. “Ciò significa che, anche se ci sono state un migliaio di civiltà nella nostra galassia, se esse sono riuscite a sopravvivere solo fino a circa 10mila anni, ossia il tempo in cui la nostra civiltà ha impiegato per evolversi, allora esse sono  già probabilmente tutte estinte. E le altre non si evolveranno se non dopo la nostra scomparsa. Per avere molte possibilità di successo nel trovare un’altra civiltà tecnologica attiva, una civiltà dovrebbe sopravvivere molto più a lungo della nostra età attuale.”

Date le grandi distanze tra le stelle e la velocità fissa della luce potremmo non essere mai in grado di avere una conversazione con un’altra civiltà”, ha detto Frank. “Se fossero 20.000 anni luce  la distanza che ci separa con una siffatta civiltà, allora ogni scambio richiederebbe 40.000 anni per andare avanti e indietro.”

Ma, come Frank e Sullivan sottolineano, anche se non ci sono altre civiltà nella nostra galassia con cui comunicare, il nuovo risultato ha ciononostante una profonda importanza scientifica e filosofica. “Dal punto di vista filosofico, la fondamentale domanda è se la vita come noi la conosciamo non sia mai avvenuta prima in nessun altro luogo‘”, ha detto Frank.

Secondo Frank e Sullivan questo risultato ha anche un’applicazione pratica. Poichè l’umanità deve affrontare la crisi del cambiamento climatico e della sostenibilità della propria esistenza su questa terra, possiamo chiederci se altre specie su altri pianeti abbiano dovuto attraverso un “collo di bottiglia” simile e se hanno avuto successo. Secondo Frank: “Noi non sappiamo nemmeno se sia possibile una civiltà tecnologica che duri più di un paio di secoli.

Attualmente si considerano due tipologie di segnali da indagare. La prima si limita alla ricerca di segnali volontari, cioè segnali radio potenti (tipo radiofaro), che vengono continuamente diffusi nello spazio: segnali potenti che contengono poche informazioni. La seconda si limita a cercare segnali involontari, cioè segnali emessi da trasmissioni radio o televisive, che si disperdono nello spazio: segnali deboli che contengono invece molte informazioni. Dunque quali regioni dello spazio dobbiamo esplorare? Sicuramente con la tecnologia oggi a nostra disposizione ci si deve limitare alla nostra Galassia anche se non bisogna escludere, in via teorica, il fatto che un segnale radio alieno potente proveniente da una galassia potrebbe raggiungere un radiotelescopio terrestre assumendo che questo ultimo sia dotato di un ricevitore altamente sensibile.

In conclusione, possiamo dire che dopo circa 50 anni di risultati negativi oggi ci si chiede se la nostra tecnologia sia adatta a ricevere segnali di origine extraterrestre. Sono giuste le strategie di ricerca ed i metodi utilizzati? Il fatto è che sappiamo ancora molto poco e tutti i programmi SETI possono essere considerati solo delle prove per i programmi futuri. Forse qualche civiltà aliena sta già cercando di contattarci ma i nostri strumenti non rivelano i loro segnali. È anche vero che questo è un momento unico nella nostra storia, di ogni storia delle civiltà: l’era della tecnologia, un momento in cui il “contatto” può realizzarsi. Non è possibile pensare, statisticamente, che siamo l’unica civiltà esistente nell’Universo: ciò sarebbe davvero un grande spreco di spazio.

Fonti varie

 

 

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