Dopo l’ennesima distruzione di un’eccellenza italiana, come ripartire?

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I due personaggi ripresi nell’immagine di copertina, Lotito e Tavecchio, non sono i principali responsabili della caduta del calcio italiano, escluso dai mondiali per la prima volta in sessant’anni e per la seconda nella sua storia. In verità, mancammo dai mondiali anche nel 1930 ma quella era un’edizione ad inviti e l’Italia non accettò l’invito in quell’occasione.

Dicevamo di Tavecchio e Lotito, i due uomini responsabili di avere nominato commissario tecnico della Rappresentativa Nazionale di calcio italiana un allenatore privo dei basilari requisiti di carisma ed esperienza, un allenatore con una storia professionale onesta ma limitata principalmente a club la cui unica ambizione era salvarsi e che nella sua storia lavorativa, sia da calciatore che da allenatore, ha collezionato una scarsissima esperienza europea.

Scelto per normalizzare l’ambiente dopo  il il biennio della gestione Conte, un allenatore grintoso capace di tirare fuori il massimo da un gruppo privo di campioni e fuoriclasse, un allenatore che ha usato la nazionale come trampolino di lancio personale a livello internazionale, Ventura, a mio parere colpevole solo di avere accettato un incarico così prestigioso pur conoscendo i propri limiti, ha dimostrato di non essere all’altezza del ruolo fin dall’inizio: In tutta la sua gestione la nazionale non ha mai giocato bene o vinto convincendo, nemmeno contro squadre palesemente inferiori come Israele o Macedonia, e molte delle sue scelte da selezionatore non hanno convinto. L’esclusione a priori di giocatori in grande forma coma Insigne o l’inserimento nella partita decisiva di giocatori ignorati completamente durante tutta la gestione di questo allenatore ha chiarito definitivamente l’inadeguatezza di un tecnico che nei due anni della sua gestione non è mai riuscito a dare un’impronta alla squadra se non in negativo, proponendo scelte e moduli discutibili.

Ma, come dicevo, Giampiero Ventura non è né l’unico colpevole e nemmeno il principale.

Le colpe vanno da ricercare nei vertici federali che l’hanno scelto, che dopo l’eliminazione nella fase a gironi in Sudafrica ed in Brasile non sono riusciti a dare una sterzata ad un movimento che non è stato capace di rinnovarsi e rigenerarsi dopo il tramonto della generazione dei del Piero, dei Pirlo e dei Totti e nemmeno di dare al movimento regole capaci di tutelarne il valore e promuoverne la crescita. Si, perché tra i colpevoli del tracollo azzurro non si possono dimenticare le società: quante sono le squadre di vertice della serie A in grado di schierare più di due o tre calciatori italiani titolari nelle loro formazioni?

Ora vanno individuati gli uomini per ripartire, tra dieci mesi iniziano le qualificazioni per gli europei e non c’è tempo da perdere. Le dimissioni del CT ma anche dei vertici federali sono d’obbligo adesso e se la federazione è necessariamente lo specchio delle esigenze egoistiche delle società professionistiche, il vertice tecnico deve essere rappresentato da uomini di carisma, con esperienza internazionale e una storia importante. Dovrebbe intervenire il CONI nominando d’autorità un commissario, possibilmente scegliendolo, come fece all’indomani dello scandalo del 2006 con Albertini, tra uomini di campo capaci di capire sia le esigenze delle società che quelle dei calciatori mentre il delicato incarico di selezionatore dovrebbe andare a un uomo noto e apprezzato a livello internazionale, penso ad esempio ad un Baggio, un Del Piero, un Pirlo o un Totti, magari affiancato da un altro con competenze tecniche già comprovate, un po’ come accadde all’indomani del fallimento del mondiale del 1974 quando si decise di affidare la ricostruzione a Bernardini e Bearzot, opera che culminò nella vittoria al mondiale spagnolo.



Ma a nulla varrà la scelta di qualsiasi uomo se non verranno cambiate le regole del gioco, se le società di serie A e B non saranno obbligate a schierare nella formazione titolare almeno 5 giocatori italiani, se non si vieterà, o almeno limiterà, il tesseramento di improbabili giocatori stranieri nei settori giovanili. Oggi le squadre primavera sono lo specchio delle squadre professionistiche, infarcite di giovanissimi giocatori centroafricani che, quasi sempre, non si affacceranno mai in prima squadra e non giocheranno mai in serie A ma hanno l’unica funzione di tenere in vita strani giochetti tra società e procuratori e foraggiare il meccanismo delle plusvalenze per tenere in piedi i bilanci delle società.

Finita la generazione cresciuta tra seconda metà degli anni ’90 e la prima metà degli anni 2000, non abbiamo più ricambi, non si intravedono fuoriclasse né giocatori di provata affidabilità, i Gattuso, i Perrotta, quei giocatori che pur onesti pedalatori hanno sempre saputo garantire il fritto al servizio dei fuoriclasse. Oggi ci mancano gli uni e gli altri e questo per colpa delle società, incapaci di investire sul movimento giovanile, sui giovani italiani da far giocare per acquisire esperienza.

Abbiamo qualche mese per testare nuovi giocatori, per avviare un piano almeno quadriennale per creare un gruppo escludendo giocatori superiori ai 28 anni in vista dei mondiali del 2022, per affrontare dignitosamente le qualificazioni agli europei del 2020 e quelle successive al mondiale, curando nel frattempo i settori giovanili, obbligando le società a schierare in formazione, non solo in rosa, 5 giocatori italiani e, magari, promuovendo una squadra riserve per le società che militano in serie A che partecipino almeno al campionato di serie C, se non lanciando un vero e proprio campionato per le seconde squadre.

Ma tutto questo può passare solo da una riforma radicale del movimento attuata da uomini nuovi a tutti i livelli.

 

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