I libri sibillini: un mito dell’Antica Roma

Una delle leggende fondative della Roma repubblicana è quella dei libri sibillini che si vorrebbero scritti dalla Sibilla Cumana

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I libri sibillini: un mito dell'Antica Roma
I libri sibillini: un mito dell'Antica Roma

Secondo quanto ci è stato tramandato i libri sibillini appartenevano alla Sibilla Cumana, che li avrebbe donati a Roma. Questa è solo una leggenda che non ha reali basi storiche.

Servius Grammaticus afferma: “I responsi Sibillini che è incerto da quale Sibilla siano stati scritti, sebbene Virgilio li attribuisca alla Cumana, Varrone, invece, all’Eritrea”. Sempre Servius racconta di una donna, Amaltea, che avrebbe incontrato il re Tarquinio offrendogli nove libri. Il contenuto avrebbe riguardato il destino di Roma e i rimedi per poter risolvere i vari pericoli che la città avrebbe dovuto affrontare. La donna avrebbe chiesto per tali libri un prezzo pari a 300 filippi, ovvero, monete d’oro di alto valore. 

Il rifiuto di Tarquinio 

Tarquinio, tuttavia, rifiutò di acquistare i libri sibillini a un prezzo così spropositato. Amaltea, respinta, avrebbe dunque dato fuoco a tre libri, per ripresentarsi al cospetto del re un altro giorno. Al nuovo rifiuto bruciò altri testi. Alla fine, ritornò con gli ultimi tre libri ricevendo dal re (previa consultazione degli auguri) il prezzo che aveva stabilito inizialmente. Lo stesso Tarquinio sarebbe rimasto sorpreso dalla bizzarra pretesa della donna di richiedere lo stesso prezzo nonostante il numero di libri diminuisse. A quel punto, preso il denaro, Amaltea scomparve. 

Dove erano conservati?

I libri sibillini sarebbero stati conservati presso il tempio di Apollo, assieme a quelli dei Marci e di Vegoe. Quest’ultima era una ninfa che, secondo la leggenda, sarebbe stata l’autrice dei libri fulgurales presso gli etruschi. Non è chiaro se l’acquirente dei libri sibillini fosse Tarquinio Prisco o il Superbo. Dionigi di Alicarnasso propende per il secondo. Lattanzio ipotizza, invece, il Prisco.

Sempre secondo Lattanzio, l’autrice dei libri sarebbe stata la sibillia cumana. La lingua originale dei testi doveva essere il greco, ma come leggiamo da romanoimpero.com, avrebbero presentato anche elementi italici ed etruschi. In età ellenistica sarebbero stati contaminati con elementi aggiuntivi. La raccolta andò perduta nell’83 a.C. a causa di un incendio sviluppatosi presso il Campidoglio. 

In origine i libri sibillini erano affidati a due patrizi; dopo il 367 a.C. questi sono diventati dieci amministratori (Decemviri sacris faciundis); quindi (presumibilmente al tempo di Silla) il loro numero è stato portato a quindici. Di solito erano ex consoli o ex pretori. Venivano nominati a vita ed erano liberi da tutti gli altri doveri pubblici. Erano responsabili della sicurezza e della segretezza dei libri.

Si consultavano i libri sibillini, per ordine del Senato, non tanto per trovare corrette previsioni di chiari eventi futuri, ma per trovare le osservanze religiose necessarie a scongiurare miserie straordinarie e spiegare i miracoli (come comete, terremoti, pestilenze). Erano solo i riti di penitenza prescritti dai libri sibillini, secondo l’interpretazione dell’oracolo che veniva trasmessa al pubblico, e non gli oracoli stessi.



Poiché erano scritti in esametro e greco, il collegio dei curatori era sempre assistito da due interpreti greci. I libri erano conservati nel Tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio ma poi andarono persi a causa di un incendio nel tempio avvenuto nell’83 a.C. Con la visione pragmatica della religione che avevano i romani, il Senato si organizzò nel 76 a.C. per sostituirli con una raccolta di detti profetici simili, specialmente quelli di ilio, Erythrae e Samos, Sicilia e Africa.

Questa nuova collezione Sibillina venne ospitata nel tempio restaurato, insieme a detti simili di origine nativa, ad es. quella della Sibilla da Tibur (la Sibilla Tiburtina), dai fratelli Marcius e altri. Nel12 a.C. furono fatti esaminare e copiare dal Pontifex maximus Caio Giulio Cesare Augusto che li trasferì al tempio di Apollo Patrous sul Palatino, dove rimasero fino a 405. Si dice che siano stati bruciati da Flavio Stilicone (morto nel 408), che sebbene fosse ariano, condivideva l’entusiasmo cristiano per la distruzione dei testi di letteratura pagana.

Alcuni veri versi sibillini sono stati conservati nel Libro dei miracoli o memorabilia a partire dal Phlegon di Tralles (II secolo d.C.). Questi rappresentano un oracolo o una combinazione di due oracoli, di settanta esametri in tutto. Riferiscono della nascita di un androgino e prescrivono un lungo elenco di rituali e offerte agli dei.

Il contenuto

Il contenuto, già anticipato in parte nella nostra introduzione, è ancora piuttosto incerto. Qualcosa lo conosciamo grazie ad alcuni responsi che ne venivano tratti. Prendiamo, per esempio, un frammento di Tito Livio tratto da Ab Urbe Condita: “A causa o del tempo insalubre dovuto al cambio repentino da freddo a caldo, o a qualche altro motivo, il rigido inverno fu seguito da un’estate pestilenziale che si dimostrò fatale per uomini e bestie. Siccome non si trovava causa o rimedio per questa fatalità, il Senato ordinò di consultare i Libri Sibillini. I sacerdoti che li avevano in custodia ordinarono per la prima volta a Roma un lettisternio (processione delle statue degli dei sdraiate su letti). Si propiziarono Apollo e Latona, Diana ed Ercole, Mercurio e Nettuno per otto giorni su tre lettini decorati con i drappeggi più preziosi che si poterono trovare”. 

Possiamo dunque capire come i libri sibillini venissero consultati per eventi nefasti e solo in situazione di elevata gravità, al fine di trovare opportuno rimedio. Come leggiamo da scelgonews.it, i testi in questione garantivano un grandissimo potere a chi sapeva manipolarli e interpretarli a seconda delle proprie esigenze e volontà, tanto da poter condizionare lo status quo socio-politico di Roma

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