L’ultima grande pandemia della storia dell’umanità

Poco più di un secolo fa la pandemia passata alla storia come "la spagnola" uccise il 3% della popolazione mondiale. Un recente studio traccia alcune ipotesi sul perché di questa drammatica virulenza.

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Le sempre più allarmanti notizie che provengono dalla Cina  sul cosiddetto coronavirus di Wuhan fanno temere una possibile pandemia dagli effetti  imprevedibili. Vale  la  pena di precisare ancora una volta cosa significa esattamente pandemia: si tratta di  un’epidemia in grado  di interessare vaste aree geografiche dell’intero pianeta, con un  alto  numero  di casi gravi ed un’alta mortalità. In questo  articolo  ripercorriamo brevemente la pandemia  più devastante  della storia recente  dell’umanità.
Un secolo fa l’intero pianeta  fu interessato dalla  più letale  pandemia influenzale  della storia, la cosiddetta spagnola Non si sa ancora  esattamente dove  abbia avuto origine questa pandemia originata dal  virus dell’influenza H1N1 (lo  stesso ceppo dell’influenza  suina). Alcune ricerche   suggeriscono che i  primi focolai si verificarono nella Cina settentrionale già nell’autunno del 1917, probabilmente poi il virus ha seguito  i circa 90.000 lavoratori cinesi  chiamati a prestare servizio dietro le linee britanniche e francesi sul fronte occidentale della prima guerra mondiale. Essi  potrebbero essere stati  la fonte della pandemia.
Ma perché il nome spagnola a questa  virulenta  e micidiale  influenza? Anche in questo caso il motivo va ricondotto allo stato di guerra di quel periodo , la sua esistenza fu riportata dapprima soltanto dai giornali spagnoli, in quanto la Spagna non era coinvolta nella prima guerra mondiale e la sua stampa non era soggetta alla censura di guerra; negli altri paesi, il violento diffondersi dell’influenza fu tenuto nascosto dai mezzi d’informazione, che tendevano a parlarne come di un’epidemia circoscritta alla Spagna (in cui venne colpito anche il re Alfonso XIII).
Oggi  un recente studio di  un gruppo di ricercatori dell’Università del Queensland a Brisbane e dell’Università di Melbourne, in Australia, è illustrato su “Frontiers in  Cellular and Infection Microbiology” cerca di far luce sui motivi dell’estrema  pericolosità  e diffusione  di questa pandemia che  ha addirittura colpito  alcuni abitanti di remote isole dell’Oceano Pacifico e del Mar Glaciale Artico  provocando  in  tutto il mondo oltre  50 milioni di morti,  circa il  3% di tutta la popolazione mondiale.
Un elemento importante sono state anzitutto le caratteristiche del virus, un ceppo del sottotipo H1N1 dell’influenza A (lo stesso sottotipo dell’influenza suina del 2009). Il virus del 1918 aveva alcune peculiarità genetiche che, come hanno dimostrato alcuni studi, gli consentivano di diffondersi anche a tessuti diversi da quelli delle vie respiratorie, causando ulteriori danni, e di trasmettersi più facilmente tra gli esseri umani.
Un altro fattore importante, secondo gli autori, è lo stato della salute pubblica. Nel 1918, la malnutrizione era piuttosto diffusa, così come diverse malattie batteriche (a partire dalla tubercolosi) che rendevano molto più probabile un esito infausto della malattia virale. Oggi la malnutrizione potrebbe aumentare in seguito alla riduzione dei raccolti provocata in molte regioni dai cambiamenti climatici, e l’aumento della resistenza agli antibiotici potrebbe causare una maggiore diffusione e problematicità delle superinfezioni batteriche.
Infine un terzo fattore di ordine demografico ha avuto un notevole impatto sugli esiti drammatici di questa  pandemia, ad essere  colpiti e soprattutto a morire furono soprattutto giovani e giovanissimi.
I ricercatori pensano che forse gli anziani furono relativamente risparmiati a causa di precedenti esposizione a virus simili, ma meno virulenti, che avevano dato loro una maggiore resistenza al ceppo del 1918.
La spagnola  non è stata  l’ultima  pandemia, anche se certamente è  stata quella più letale.  In seguito, ci sono state altre tre pandemie influenzali (la cosiddetta “asiatica” del 1957, la “Hong Kong” del 1968 e l’influenza “suina” del 2009) che, pur avendo avuto conseguenze molto meno devastanti, hanno mostrato che i virus influenzali continuano a essere una grave minaccia.
E’ stato calcolato che oggi un’eventuale pandemia con le caratteristiche di contagiosità  e virulenza  della  spagnola potrebbe causare circa 150 milioni  di morti. Nel 1918 gli effetti drammatici della spagnola  produssero  un abbassamento dell’aspettativa di vita,  su base globale  di ben 12 anni.
La spagnola declinò molto rapidamente verso la fine del 1918. A Filadelfia, ad esempio, 4.597 persone morirono nella settimana che terminò il 16 ottobre, ma già l’11 novembre l’influenza era quasi scomparsa da tutta la città. Probabilmente questo brusco declino della pandemia potrebbe essere dipeso o dal miglioramento della prevenzione e da più efficaci cure della  polmonite che si scatenava nei pazienti che avevano contratto il virus oppure da una mutazione repentina del  virus in una forma meno letale.
Questo è un evento comune nei virus dell’influenza: vi è una tendenza per i virus patogeni di diventare meno letali col tempo, poiché gli ospiti dei ceppi più pericolosi tendono ad estinguersi. 

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