Perché tornare sulla Luna è importante

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Quest’estate, il 20 luglio, celebreremo il cinquantennale del primo sbarco sulla Luna, e capiterà proprio mentre la corsa alla spazio in generale, e alla Luna in particolare, sta vivendo l’inizio di una nuova competizione tra nazioni forse più serrata della precedente tra USA ed URSS degli anni ’60 del secolo scorso.

La corsa alla Luna negli anni ’60 fu una straordinaria conquista della tecnologia, dell’ingegneria e della politica, indubbiamente una delle più grandi conquiste della storia umana. Le ricadute di quella corsa alla Luna hanno cambiato il mondo in cui viviamo oggi, anche se non ha inaugurato un’epoca di viaggi spaziali di routine.

La corsa allo spazio questa volta mira a fare proprio questo, a gettare le infrastrutture per la vita nello spazio e per un’economia a gravità zero con la prospettiva di una vera e propria rivoluzione tecnologica alle porte. In molti modi, è più grande, più serrata e più importante della prima corsa nello spazio.

Tra le superpotenze mondiali, c’è un rinnovato interesse per lo spazio come terreno di gioco per la geopolitica. A gennaio, l’ambizioso programma spaziale del governo cinese ha portato una missione automatica, composta da una lander ed un rover, a scendere sul lato opposto della Luna, un’impresa senza precedenti. A marzo, il vicepresidente Mike Pence ha tenuto un discorso che annunciava la determinazione degli Stati Uniti a riportare gli astronauti sulla Luna entro il 2024, dando alla NASA cinque anni per fare una seconda volta quello che in passato aveva fatto in otto. Nove mesi prima, l’amministrazione Trump aveva dichiarato l’intenzione di creare un sesto ramo dell’esercito, la Space Force, un fatto senza precedenti. Nel frattempo, l’India, che presto diventerà la quinta economia mondiale, si sta preparando a sua volta ad inviare una missione automatica sulla Luna e la Russia ha annunciato di voler creare una base sul nostro satellite naturale entro il 2030.

Ancora più avvincente è la competizione tra le aziende private che cercano di creare un trasporto spaziale moderno a un decimo dei costi di lancio che ci sono stati finora. In questo settore i competitors più importanti sono Blue Origin di Jeff Bezos e SpaceX di Elon Musk, che stanno entrambe creando missili che somigliano più ad un aereo passeggeri che ad un sistema Apollo+Saturn V, ed entrambe hanno già sviluppato sistemi di lancio riutilizzabili anche molte volte e per questo stanno ottenendo contratti dalla NASA e da molte agenzie nazionali e compagnie private perché i loro missili funzionano e sono relativamente economici.



Solo poche settimane fa, Bezos ha svelato il progetto del lander lunare di Blue Origin e ha illustrato la sua visione utopica fatta di colonie spaziali in grado di ospitare fino a un trilione di persone. Intanto SpaceX sta sviluppando una vera e propria astronave che nelle intenzioni di Elon Musk dovrà portare l’uomo sulla Luna, su Marte e oltre, con viaggi di andata e ritorno.

Se Bezos e Musk riusciranno ad imprimere una svolta al calo dei costi dei viaggi spaziali e alla frequenza dei lanci scateneranno un’economia a gravità zero simile alla rivoluzione economica provocata da internet ad alta velocità associato agli smartphone che hanno portato ad un’economia mobile che non avremmo mai immaginato in precedenza.

Mentre ci avviciniamo all’anniversario del primo sbarco sulla Luna, ciò che è notevole è quanto ci siamo dimenticati di quello sforzo. Come cultura collettiva, sappiamo che nel 1961 il presidente John F. Kennedy annunciò l’audace obiettivo di raggiungere la Luna entro la fine del decennio, e sappiamo che Neil Armstrong fu il primo essere umano a mettere piede sulla superficie lunare nel luglio 1969.

Ciò che abbiamo perso è tutto ciò che ci fu in mezzo, i dettagli affascinanti di quella grandiosa impresa, costituiti dal lavoro di oltre 400 mila persone e 20 mila aziende che ci portarono dal sogno alla realtà. E pensare che ai tempi del discorso di Kennedy sapevamo così poco dello spazio che non sapevamo per certo nemmeno se il nostro cervello avrebbe funzionato regolarmente nello spazio.

Non abbiamo avuto i Jetson, come alcuni hanno sognato, ma gli otto anni trascorsi tra la sfida del presidente Kennedy e l’effettivo atterraggio sulla Luna hanno prodotto un inedito sbocciare di innovazione, creatività, attenzione pubblica (e poi disattenzione pubblica), gestione innovativa, intensità, suspense, scoperte e politica. Pensiamo che siamo andati sulla Luna e tutto quello che abbiamo ottenuto è stato il Velcro, perché abbiamo perso la prospettiva di come il progetto Apollo ha gettato le basi per l’era digitale in cui ora viviamo e lavoriamo.

In questo momento troppa gente è incapace di sognare come negli anni ’60, e non importa se il sogno sta viaggiando nel sistema solare o prevenendo gli effetti calamitosi del cambiamento climatico. Comprendere in che modo la NASA ci ha portati sulla Luna cinquanta anni fa è importante e stimolante. Non importa cosa dicono o pensano i negazionisti, alla fine le loro ragioni suonano un po’ come quelle dei terrapiattisti, ad un esame razionale appaiono insensate e pretestuose, sono state date talmente tante spiegazioni e chiarimenti, sono stati forniti documenti e, addirittura, pietre lunari originali, per dare risposta ai dubbiosi che non vale più la pena di continuare  a dare loro peso, la maggior parte di loro non sono ragionevoli e fanno parte di quelle correnti cospirazioniste figlie dell’ignoranza e della malafede. Come se si potesse indurre quasi mezzo milione di persone a mantenere un segreto del genere per cinquanta anni senza che nulla trapeli.

Gli sbarchi lunari del programma Apollo furono un’impresa straordinaria che fu il frutto del lavoro di moltissima gente comune e di alcuni uomini straordinari. Ora serve esattamente quel tipo di sforzo per affrontare alcuni dei problemi che affrontiamo oggi, dalla disuguaglianza economica ai cambiamenti climatici. La corsa alla Luna può mostrarci ancora la via.

Usiamo ancora la frase “Se siamo stati capaci di mettere un uomo sulla luna…” come sprone per affrontare i nostri problemi legati alla Terra. La frase può avere l’aria di un cliché, ma cattura quel senso di smisurata ambizione insita nel perseguire ciò che una volta era ritenuto impossibile. C’è una ragione, dopo tutto, se gli americani chiamano idee come queste moonshot.

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