Trovata la conferma della presenza di microplastiche negli organi umani

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L’inquinamento provocato dalla plastica sta sempre più divenendo un problema a livello globale. In tutto il mondo sono tantissimi gli attivisti che chiedono di ridurre drasticamente l’inquinamento prodotto dalla plastica, un materiale che purtroppo provoca danni a livelli ecologici e di salute sia agli animali che all’essere umano.
Lunedì scorso gli scienziati dell’Arizona State University hanno pubblicato una ricerca sull’American Chemical Society riguardante le micro e nanoplastiche presenti all’interno degli organi umani. La Greenpeace UK dopo aver visionato lo studio ha risposto al rapporto invitando in maniera molto allarmata, ad effettuare una massiccia riduzione della quantità di plastica prodotta e utilizzata in tutto il mondo.
Per capire meglio la pericolosità della plastica spiegheremo cosa sono le microplastiche e le nanoplastiche per comprendere per quale motivo sono cosi rischiose.
Le microplastiche sono delle plastiche che presentano un diametro al di sotto dei cinque millimetri, mentre le nanoplastiche sono caratterizzate da un diametro inferiore a 0,001 millimetro. Quindi entrambi sono i frammenti che si creano dalla plastica più grande, che si formano col deterioramento nel momento in cui vengono abbandonate nell’ambiente.
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La PlasticsEurope.org ha stimato che solo nel 2019 sono state prodotte ben 359 milioni di tonnellate di plastica a livello mondiale, non solo. Molte ricerche precedenti sono riuscite a dimostrare un fatto molto allarmante, ossia che ogni persona a causa della presenza di rifiuti in natura, arriva a mangiare una quantità di plastica paragonabile ad una carta di credito ogni giorno. Uno studio pubblicato nel 2019 ha suggerito che ogni essere umano mangia beve e respira una quantità di 74.000 particelle di microplastica ogni anno.
Le microplastiche sono presenti praticamente in ogni luogo, dalle montagne più alte fino alle profondità delle fosse oceaniche, come ad esempio in quelle delle Marianne. Uno studio condotto ha dimostrato che le particelle della plastica presenti nella fauna selvatica, sono in grado di danneggiare irreversibilmente un intero ecosistema sopratutto nel caso di organismi marini, i più colpiti dall’inquinamento della plastica.
Lo studio effettuato dagli scienziati dell’Arizona State University ha sviluppato e testato un metodo innovativo, per riuscire a rilevare diverse dozzine di plastiche presenti nei tessuti umani. Questo studio è in grado di raccogliere dati a livello globale, sull’inquinamento derivato dalle microplastiche e sull’impatto che ha sulle persone.
I ricercatori per testare il loro studio hanno analizzato 47 campioni di tessuto prelevato dai polmoni, dal fegato, dalla milza e dai reni raccolti all’interno della banca dei tessuti. Successivamente hanno aggiunto delle particelle ai tessuti, così da riuscire a scoprire che si poteva rilevare la presenza delle microplastiche all’interno di ogni singolo campione.
Gli studiosi hanno scelto questa tipologia di tessuti perché sono quelli con più alta probabilità di venire esposti al contatto, al filtraggio e alla raccolta delle microplastiche nel corpo umano. Inoltre, avendo utilizzato dei tessuti presenti all’interno della banca i ricercatori hanno potuto ricavare informazioni inerenti allo stile di vita dei donatori, sopratutto alle loro esposizioni ambientali e lavorative.
Uno di essi ha spiegato che: “Sarebbe molto ingenuo credere che ci sia plastica ovunque e non in noi. Noi stiamo, attraverso la nostra ricerca, cercando di fornire una piattaforma in grado di individuare le particelle piccole invisibili ad occhio nudo. Le microparticelle sono davvero un rischio per la salute delle persone. Noi speriamo che condividendo il nostro lavoro, che mira a creare un database di esposizioni alla plastica, si possa riuscire a confrontare le esposizioni degli organi e dei gruppi di persone nel tempo e in luoghi differenti”.
Gli scienziati, con il loro studio, sono riusciti a individuare in tutti i 47 campioni sia le particelle di bisfenolo A (BPA) che il polietilene tereftalato (PET), una sostanza chimica utilizzata nella produzione di bottiglie di plastica per bevande e per le buste della spesa. Inoltre, hanno anche trovato e analizzato il policarbonato (PC) e il polietilene (PE).
I ricercatori ritengono che tutte queste particelle riescano a finire nell’organismo umano respirando o con il consumo di cibo, come ad esempio i frutti di mare, che a loro volta si sono nutriti di plastica, o mangiando alimenti che contengono tracce di plastica di imballaggi. I ricercatori hanno anche sviluppato un programma per il computer, che riesce a convertire i dati raccolti sul conteggio delle particelle di plastica in unità di massa e area.
Charles Rolsky, un membro del team, ha spiegato che: “In pochissimi decenni siamo passati da vedere la plastica come una risorsa a farla diventare una minaccia per l’umanità e l’ambiente. Grazie allo studio condotto siamo riusciti a scoprire che le microplastiche si stanno insinuando nel corpo umano. Il nostro studio adesso ha come scopo quello di capire se la plastica nell’organismo può rappresentare semplicemente un fastidio o se può divenire un pericolo per la salute umana”.
Fonte: https://www.ecowatch.com/microplastics-found-human-organs-2647014349.html?rebelltitem=2#rebelltitem2

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