Venti di guerra: siamo pronti per affrontare un evento nucleare?

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Si sono da poco compiuti i settanta anni dai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki e sono, circa, 25 anni che è finita la guerra fredda eppure, da più parti, si rilevano nuove tensioni internazionali, dovute alla controversa personalità di alcuni dei leader mondiali. USA, Russia, Cina, Corea del nord e Iran sembrano impegnate in una prova di forza, fortunatamente per ora principalmente a parole, che sta sfociando in una pesante corsa al riarmo e ad una riedizione della guerra fredda. Questo significa che, contrariamente a quanto potevamo pensare fino a qualche anno fa, il rischio di una guerra nucleare è di nuovo reale.

Siamo in grado di affrontare i rischi connessi ad un evento nucleare? Sappiamo cosa fare in caso di esplosione di una bomba nucleare non lontano da dove siamo?

Qualcosa su come comportarci in casi del genere lo abbiamo imparato dall’esperienza derivata da eventi di guerra come Hiroshima e Nagasaki e da incidenti come Chernobyl e Fukushima. Al di là dei danni terrificanti provocati da un’esplosione nucleare, le complicazioni più gravi derivano dal fall out radioattivo che segue l’esplosione.

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La Prefettura di Hiroshima dopo l’esplosione. Maarten Heerlien / Flickr , CC BY-SA

Cosa succede quando un ordigno nucleare esplode su una città?



Circa 135.000 e 64.000 persone morirono, rispettivamente, a Hiroshima e Nagasaki. Può sembrare un paradosso ma la maggior parte delle vittime di un’esplosione nucleare muoiono nei giorni successivi all’esplosione, soprattutto a causa di ustioni termiche, lesioni fisiche gravi e radiazioni.

Uno dei problemi principali da affrontare, come dimostrò il film “the day after”, è la difficoltà, dopo l’esplosione iniziale, nel portare soccorso competente e qualificato alla popolazione. Nelle grandi città, infatti, il personale sanitario è, solitamente, concentrato nelle strutture ospedaliere che sarebbero, in gran parte, distrutte per effetto dell’esplosione riducendo sensibilmente la capacità di risposta sanitaria della località interessata.

La consapevolezza di questo fatto dovrebbe convincere i governi e le amministrazioni cittadine a prevedere un piano di emergenza per la distribuzione ed il trattamento dei feriti in apposite strutture protette, magari sotterranee, in grado di diventare operative immediatamente dopo l’esplosione, dove il personale sanitario sopravvissuto sia in grado di prendere servizio ed avere a disposizione farmaci e strumenti atti agli interventi che saranno necessari.

C’è da dire che ben pochi tra medici e paramedici hanno effettive competenze su cosa fare in caso di patologie conseguenti ad un’esplosione nucleare e alla conseguente ricaduta radioattiva. I soli pazienti ustionati richiederebbero enormi risorse per essere trattati e numerosissimi sarebbero i feriti che si presenterebbero con lacerazioni dovute ai frammenti di vetro che schizzerebbero nell’aria a causa dell’esplosione dei vetri delle finestre dei palazzi. Senza contare le conseguenze del fall out che si manifesterebbero rapidamente nei giorni successivi all’esplosione per affrontare le quali servono farmaci particolari e che, spesso, possono essere affrontate solo a livello palliativo per contenere il dolore.

 

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Addetti sanitari in equipaggiamento protettivo verificano la presenza di segni di radiazioni su bambini evacuati dall’area contaminata dall’esplosione nella centrale nucleare di Fukushima Daini a Koriyamail 13 marzo 2011 foto. Reuters / Kim Kyung-Hoon / Files

Convincere la gente fuori delle zone di contaminazione esplosione e radiazione

Un grande evento nucleare renderebbe vaste aree di territorio inabitabili per decenni, con impatti catastrofici sugli esseri umani, sull’economia e l’ambiente.

L’evacuazione della popolazione dalle aree ad alto rischio di ricaduta radioattiva  dovrebbe essere pianificata in modo di avvenire entro pochissime ore dall’esplosione ma, ad oggi, sono pochissime le nazioni in cui sono previsti piani per una simile emergenza. Non si tratta solo di evacuare la popolazione ma anche di reinsediarla in altri posti, con tutte le conseguenze del caso.

Per dirne una, dopo l’incidente di Chernobyl, oltre 116.000 persone vennero evacuate dalle zone più contaminate di Ucraina e Bielorussia e altre 220.000 furono trasferite negli anni successivi, quando fu chiaro che la contaminazione radioattiva da cesio era molto più grave del previsto e sono molte decine di migliaia le persone che continuano a vivere in zone che le autorità Ucraine e Bielorusse tengono rigidamente sotto controllo perchè continuano a presentare livelli di radioattività allarmanti.

Nel solo giorno successivo all’esplosione causata dallo tsunami a Fukushima, in Giappone, oltre 200.000 persone furono evacuate dalle zona in un raggio di 20 chilometri dalla centrale nucleare a causa della paura del potenziale di esposizione alle radiazioni.

Il terzo giorno dall’esplosione le autorità consigliarono tutti coloro che vivevano in un raggio di 20-30 km dalla centrale di restare in casa ma, alla fine, invitarono ad auto-evacuare.

Sulla base di questi precedenti, è evidente che le autorità tendono a farsi trovare impreparate di fronte a questo tipo di eventi, soprattutto che i tempi di reazioni sono rallentati dalla scarsità di informazioni e dall’assenza di un piano di reazione organico che tuteli al meglio la popolazione coinvolta dall’evento.

Gli eventi di Cernobyl e Fukushima furono causati da problemi con i reattori nucleari eppure furono drammatici negli esiti. Un’arma nucleare ad alto rendimento porterebbe a conseguenze enormemente più gravi e le difficoltà da affrontare per curare ed evacuare decine di migliaia di persone in un tempo brevissimo sarebbero enormi e forse impossibili da affrontare senza un piano di reazione preventivo.

 

Gli effetti a lungo termine di esposizione alle radiazioni

Il Radiation Research Foundation (RERF), è stato istituito per studiare gli effetti delle radiazioni sui sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki, ed ha monitorato gli effetti delle radiazioni sulla salute per decenni. Secondo questo istituto, dopo le esplosioni nucleari si sono verificati, nella zona,  circa 1.900 decessi per cancro sopra la media prevista e, quindi, attribuibili agli effetti secondari delle bombe atomiche, con c200 casi di leucemia e 1.700 tumori solidi.  Purtroppo (o per fortuna), però, i dati disponibili sugli effetti a lungo termine delle radiazioni nucleari sono relativi a pochi casi e per niente conclusivi.

 

Infatti esistono studi contraddittori. Per esempio, uno studio ha stabilito che dopo Hiroshima e Nagasaki i bambini nati con malformazioni cerebrali erano più che raddoppiati mentre altre indagini a lungo termine hanno concluso che non ci sono aumenti statisticamente significativi nei difetti di nascita tra i sopravvissuti alla bomba atomica.

Guardando ai dati provenienti da Chernobyl, dove il rilascio di radiazioni nell’aria fu 100 volte maggiore di quella di Hiroshima e Nagasaki insieme, si constata una simile mancanza di dati definitivi su nascite di bambini malformati indotte da radiazioni.

Un ampio studio dell’OMS ha concluso che non si notano differenze nei tassi di ritardo mentale e di problemi emotivi nei bambini esposti alle radiazioni di Chernobyl rispetto ai bambini dei gruppi di controllo.

Uno studio effettuato ad Harvard su Chernobyl ha concluso che non vi è alcuna prova sostanziale per quanto riguarda gli effetti indotti dalle radiazioni su embrioni o feti. Un altro studio ha esaminato i registri delle anomalie congenite di 16 regioni europee che hanno subito il fallout di Chernobyl e ha concluso che la paura diffusa tra la popolazione sui possibili effetti dell’esposizione alle radiazioni dei feti non è, al momento, giustificato dai dati statistici.

In effetti, il dato più incisivo sulle conseguenze per la salute della ricaduta radioattiva sull’area di Chernobyl, è stato il drammatico aumento di aborti nelle aree interessate. La gran parte di questi aborti fu, però, dovuta alla paura e alla disinformazioni, con moltissime madri che preferirono abortire che correre il rischio di partorire un bambino malformato.

Ogni paese, insomma, dovrebbe organizzarsi per avere piani preventivi e trasmettere informazioni attendibili alle popolazioni, per evitare che possa crearsi il panico e che la paura prenda il sopravvento. Per la gente, la consapevolezza che il governo ha un piano pronto per affrontare ogni emergenza, creerebbe positive ricadute sul piano psicologico.

Qual è il rischio di un’altra Hiroshima o Nagasaki?

Oggi, il rischio di uno scontro nucleare, con tutte le conseguenze e le ricadute sulle strutture sanitarie, sull’organizzazione sociale e la salute pubblica, è in aumento. A parte i contrasti tra nazioni, sono numerosi i gruppi terroristici incontrollabili in grado di utilizzare tecnologia sofisticata e la disponibilità di metalli radioattivi, atti a realizzare una bomba nucleare, sul mercato nero dei venditori di armi privi di scrupoli, è sempre maggiore, rendendo sempre più preoccupante la situazione. Sarà, quindi, opportuno che organizzazioni di peso come l’ONU si attivino presso le singole nazioni affinchè vengano studiati e previsti i casi che si potranno verificare. Come sempre, prevenire è preferibile al curare.

A cura di Cham Dallas , Professore e Direttore, Istituto per la Gestione dei Disastri, Università della Georgia

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su The Conversation . Leggi l’ articolo originale .

Per saperne di più:                                                                                                                                                                                                                                                                     [amazon_link asins=’8862595123,8872857066,B0041KXHTG,B00B1P9MP2′ template=’ProductCarousel’ store=’982430213536′ marketplace=’IT’ link_id=’c49addd9-2052-11e7-a0ec-8fbf332bd9a8′]

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