Oltre il paradosso di Fermi: dalla teoria della percolazione alla risposta della foresta oscura

Uno dei presupposti fondamentali alla base del paradosso di Fermi è che, data l'abbondanza di pianeti e data l'età avanzata dell'Universo, una civiltà extraterrestre avanzata dovrebbe aver colonizzato una parte significativa della nostra galassia e quindi dovremmo essere in grado di individuarla. Vediamo alcune ipotesi di risposta alla domanda di Fermi, dalla teoria della percolazione alla foresta oscura, passando per il grande filtro

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L’esistenza di intelligenze aliene, e di forme di vita extraterrestri in generale, unitamente al fenomeno UFO, hanno attirato l’attenzione anche di grandi scienziati. In tempi moderni, uno degli scienziati più esposti su questi temi è certamente l’astrofisico di Harvard Avi Loeb ma, storicamente, tra essi spicca certamente il fisico Enrico Fermi al quale dobbiamo proprio il paradosso che ha preso il suo nome, il paradosso di Fermi.

La domanda formulata quasi per caso nel 1950 dal paradosso di Fermi dopo una discussione tra lo scienziato italiano ed alcuni colleghi sui dischi volanti e gli alieni, che si può riassumere nell’enunciato “dove sono tutti quanti?” è alla base della disparità tra le stime ad alta probabilità sull’esistenza degli extraterrestri e l’assenza di prove.

Da allora in tanti si sono cimentati nel trovare una risposta alla domanda di Fermi, una di queste è che la colonizzazione interstellare segua la regola di base della Teoria della Percolazione.

Rispondere al paradosso di Fermi

Come recita Wikipedia, In fisica statistica e matematica, la teoria della percolazione descrive il comportamento di una rete quando vengono rimossi nodi o collegamenti.



Questo è un caso di transizione di fase geometrica, poiché per valore critico della frazione rimossa la rete si rompe in cluster connessi significativamente più piccoli.

Tale teoria è nata nel tentativo di descrivere matematicamente il fenomeno chimico-fisico della percolazione, cioè il lento movimento di un fluido attraverso un materiale poroso.

Per estensione col termine percolato si può intendere il fluido stesso sottoposto al processo di percolazione, da non confondere col significato più specifico che viene attribuito al termine percolato in ambito ecologico.

Uno dei presupposti fondamentali alla base del paradosso di Fermi è che, data l’abbondanza di pianeti e data l’età avanzata dell’Universo, una civiltà extraterrestre avanzata dovrebbe aver colonizzato una parte significativa della nostra galassia.

Un altro presupposto importante è che le specie intelligenti saranno motivate a colonizzare altri sistemi stellari per ampliare le proprie conoscenze scientifiche e far espandere la propria civiltà.

Ultimo presupposto, come gli altri non provato né, al momento, dimostrabile, è che i viaggi interstellari siano fattibili.

La fattibilità di questi viaggi è legata ai progressi tecnologici e alla capacità di produrre l’energia necessaria per viaggiare tra le stelle, una quantità di energia enorme quando si prende in considerazione un veicolo interstellare di grandi dimensioni e con un equipaggio.

Fattibilità dei viaggi interstellari

La fattibilità dei viaggi interstellari è legata, inoltre, alla velocità che una nave spaziale deve raggiungere, eludendo il limite insuperabile che la fisica pone alla velocità, la velocità della luce.

Ad affermarlo è la teoria della relatività ristretta di Einstein pubblicata nel 1905. La teoria afferma che la velocità della luce è un limite assoluto irraggiungibile e invalicabile per un oggetto dotato di massa.

Salvo una rivoluzione importante della fisica nota, sistemi di propulsione più veloci della luce non potranno mai essere realizzati, questa è la conseguenza del vivere in un universo relativistico, dove viaggiare anche a una frazione della velocità della luce richiede enormi quantità di energia.

Il principio copernicano ed il principio antropico

Ciò solleva una questione filosofica correlata al paradosso di Fermi e all’esistenza degli ET: il Principio Copernicano, cosi chiamato in onore del famoso astronomo Nicolaus Copernicus.

Questo principio è un’estensione dell’argomento di Copernico sulla Terra, la quale non sarebbe in una posizione unica e privilegiata dell’Universo.

Il principio, esteso alla cosmologia, afferma che quando si considera la possibilità di vita intelligente, non si dovrebbe presumere che la Terra (o l’umanità) sia unica. Allo stesso modo, questo principio sostiene che l’Universo come lo vediamo oggi è rappresentativo della normalità.

L’opinione opposta, secondo cui l’umanità si trova in una posizione unica e privilegiata per osservare l’Universo, è nota come Principio Antropico, cioè l’affermazione che l’atto stesso di osservare l’Universo necessita che le leggi che lo governano siano favorevoli alla vita e all’intelligenza.

Se accettiamo il principio copernicano come principio guida, qualsiasi specie intelligente troverebbe le stesse difficoltà nel realizzare il volo interstellare che affrontiamo noi.

Questo si riflette su tutto il resto, poiché non conosciamo né possiamo prevedere quando e come potremo aggirare il divieto insito nella relatività speciale.

E se nessun’altra specie avesse il problema? Questa potrebbe essere la ragione del grande silenzio: Anche ammesso che esistano altre civiltà tecnologiche, potrebbero trovarsi a distanza inimmaginabili nel tempo e nello spazio e questa potrebbe essere la ragione del “Grande Silenzio“.

Insomma, una possibile risposta al “Grande Silenzio” potrebbero essere i fattori distanza e tempo.

Carl Sagan e William I. Newman hanno suggerito nel loro studio pubblicato nel 1981, “Civiltà galattiche: dinamiche di popolazione e diffusione interstellare”, che i segnali e le sonde extraterrestri potrebbero semplicemente non aver ancora raggiunto la Terra.

Lo studio è stato ampiamente criticato da altri scienziati in quanto tale affermazione contraddirebbe il principio copernicano.

Secondo le stime di Sagan e Newman, il tempo impiegato da una civiltà extraterrestre per esplorare la nostra galassia dovrebbe essere uguale o di poco inferiore all’età della nostra stessa galassia (13,5 miliardi di anni).

Se le sonde o i segnali di una civiltà aliena non ci hanno ancora raggiunto, ciò dovrebbe significare che la vita senziente ha iniziato a emergere in un passato più recente.

La teoria della percolazione

Tuttavia, è stato Geoffrey A. Landis a formulare quello che forse è l’argomento più convincente sui limiti imposti dalle leggi della fisica per spiegare il paradosso di Fermi. 

Nel suo articolo del 1993, “Il paradosso di Fermi: un approccio basato sulla teoria della percolazione”, sostiene che come conseguenza della Relatività, una civiltà aliena sarebbe stata in grado di espandersi solo fino ad un certo punto nella galassia.

Al centro dell’argomentazione di Landis c’è il concetto di statistica matematica e fisica noto come “teoria della percolazione“, che descrive come si comporta una rete quando vengono rimossi nodi o collegamenti.

In accordo con questa teoria, che dice che quando viene rimosso un numero sufficiente di collegamenti da una rete, questa si scomporrà in cluster più piccoli, Landis sostiene che questo stesso processo è utile per descrivere cosa succede ai popoli che migrano.

Secondo Landis in una galassia in cui la vita intelligente è statisticamente probabile, non ci sarà una “uniformità di movente” tra le civiltà extraterrestri. Invece, la sua modalità presuppone un’ampia varietà di motivi, con alcuni che scelgono di avventurarsi e colonizzare lo spazio mentre altri scelgono di “rimanere a casa“.

Una specie avanzata quindi non colonizzerebbe la galassia in modo rapido o coerente. Invece, “filtrerebbe” verso l’esterno dal pianeta di origine fino a una distanza finita, imposta dall’aumento dei costi energetici e dall’inevitabile ritardo delle comunicazioni.

Un argomento simile è stato avanzato nel 2019 dal Prof. Adam Frank e da un team di ricercatori di esopianeti del Nexus for Exoplanetary Systems Science (NExSS) della NASA

In uno studio intitolato “The Fermi Paradox and the Aurora Effect: Exo-civilization Settlement, Expansion, and Steady States”, la colonizzazione della galassia si verificherebbe lentamente perché non tutti i pianeti potenzialmente abitabili sarebbero ospitali per una specie colonizzatrice.

Il modello di Landis contiene alcuni presupposti intrinseci. In primo luogo, si presume che il viaggio interstellare sia difficile a causa delle leggi della fisica e che vi sia una distanza massima entro cui si possono stabilire colonie.

In secondo luogo, Landis presume che la civiltà madre, proprio a causa delle distanze e delle difficoltà di comunicazione, avrà un’influenza debole su tutte le colonie che creerà, e il tempo necessario a queste per sviluppare la propria capacità di colonizzazione sarà molto lungo.

Applicando questo principio a noi, ci vorrebbero tra i 1000 e gli 81.000 anni per raggiungere Proxima Centauri utilizzando la tecnologia attuale o gli sviluppi prevedibili nel prossimo futuro.

Sebbene esistano concetti che, verificati e realizzabili, potrebbero permettere di viaggiare a velocità relativistiche, il tempo di viaggio sarebbe comunque compreso tra pochi decenni e oltre un secolo. Inoltre, i costi prevedibili sarebbero spaventosi.

Peraltro, portare coloni su un altro sistema stellare è solo l’inizio.

Una volta stabiliti su un ipotetico pianeta abitabile in orbita intorno a Proxima Centauri, ci vorrebbero 8 anni e mezzo per inviare un messaggio alla Terra e ricevere una risposta.

Una cosa semplicemente priva di praticità per nessuna civiltà che spera di mantenere un controllo centralizzato o l’egemonia culturale sulle proprie colonie.

Per mettere le cose in prospettiva, consideriamo i costi associati alla storia dell’esplorazione spaziale dell’umanità.

L’invio di astronauti sulla Luna come parte del Programma Apollo tra il 1961 e il 1973 è costato ben 25,4 miliardi di dollari, che equivalgono a circa 150 miliardi di dollari odierni. Sono molti soldi solo per arrivare sul suolo dell’unico satellite della Terra. Ma non è niente in confronto ai costi che richiederebbe una singola spedizione interstellare.

Dall’alba dell’era spaziale, sono state avanzate molte proposte teoriche per inviare veicoli spaziali alle stelle più vicine. Al centro di ognuna di queste proposte c’era la stessa preoccupazione: possiamo raggiungere le stelle più vicine nell’arco di una vita umana?

Per affrontare questa sfida, gli scienziati hanno contemplato una serie di strategie di propulsione avanzate che sarebbero in grado di spingere i veicoli spaziali a velocità relativistiche.

Vogliamo ricordare il Progetto Orion (1958-1963), che si basava su un metodo noto come Nuclear Pulse Propulsion (NPP), il concetto di Fusion Propulsion studiato dalla British Interplanetary Society tra il 1973 e il 1978 noto come Project Daedalus, la propulsione antimateria, che farebbe affidamento sull’annichilazione di materia e antimateria (particelle di idrogeno e antiidrogeno), il Vacuum to Antimatter Rocket Interstellar Explorer System (VARIES), che funzionerebbe creando il proprio carburante prelevandolo direttamente dal mezzo interstellare.

Purtroppo, nessuna di queste idee è possibile utilizzando la tecnologia attuale, né rientra nel campo dell’efficacia in termini di costi.

L’invio di sonde verso altre stelle nel corso della vita umana è però nel regno delle possibilità, specialmente quelle che si basano sulla Propulsione a Energia Diretta (DEP).

Come mostrano proposte come Breakthrough Starshot o Project Dragonfly, queste vele potrebbero essere accelerate a velocità relativistiche e avere tutto l’hardware necessario per raccogliere immagini e dati di base su qualsiasi esopianeta in orbita.

Una possibile critica alla teoria della percolazione è che consente molti scenari e interpretazioni che consentirebbero il contatto tra specie aliene.

Se assumiamo che una specie intelligente impiegherebbe, come la nostra, 4,5 miliardi di anni per emergere (il tempo che intercorre tra la formazione della Terra e gli esseri umani moderni), e consideriamo che la nostra galassia esiste da 13,5 miliardi di anni, rimane una finestra di 9 miliardi di anni.

In 9 miliardi di anni, molte civiltà avrebbero potuto viaggiare tra le stelle e, anche se nessuna specie avrebbe potuto colonizzare l’intera galassia, è difficile immaginare che queste attività non siano osservabili e questo complica la risposta al paradosso di Fermi.

Date le circostanze, si può essere costretti a concludere che oltre ai limiti nel modo in cui una civiltà può spostarsi, ci sono altri fattori limitanti.

Il paradosso di Fermi e il grande filtro

Tra questi possiamo ricordare la Teoria del grande filtro, in base alla quale tutte le civiltà intelligenti, raggiunto un certo livello di tecnologia, tenderebbero ad autodistruggersi o per il deterioramento dell’ambiente che renderebbe inabitabile il loro pianeta o a causa di una catastrofe (ad esempio, una guerra nucleare) a livello di estinzione o che causerebbe una regressione della civiltà.

Questo spiegherebbe efficacemente il paradosso di fermi: non è che non ci siano, o ci siano state, altre civiltà nella galassia ma tutte andrebbero inevitabilmente incontro all’estinzione prima di essere in grado di comunicare o di viaggiare attraverso lo spazio.

Ma esiste un’altra ipotesi che spiegherebbe il paradosso di Fermi, suggestiva e spaventosa allo stesso tempo: la teoria della foresta oscura.

La teoria della foresta oscura

Recentemente si è assistito ad un vivace dibattito sull’ipotesi della “foresta oscura“, un’ipotesi che offre una risposta al paradosso di Fermi sul perché finora non abbiamo raccolto nessun segnale da parte di una civiltà aliena.

Secondo questa soluzione, gli alieni non comunicano deliberatamente. Questo ragionamento è presentato al meglio nel romanzo di fantascienza The Dark Forest, di Liu Cixin.

La trama del libro, il secondo di una serie, riguarda le domande su come interagire al meglio con la vita aliena potenzialmente ostile.

L’ipotesi su cui si basa il romanzo, che immagina che eventuali alieni ostili si nascondano intenzionalmente evitando inviare segnali che ne tradiscano l’esistenza, in attesa che ingenue civiltà si rendano invece palesi per poi attaccarle, sembra oggi godere di un certo seguito. 

In effetti, l’esperienza del nostro pianeta ci dimostra che tutti i predatori sono furtivi, i grandi felini sono capaci di stare in attesa per ore e ore per avere l’opportunità di colpire ignare prede di passaggio e lo stesso fanno ragni e serpenti. 

È, però, vero che molti altri predatori sembrano trarre piacere dall’annunciare la loro presenza in anticipo. Quindi, l’idea che tutti gli alieni ostili, siano specie galattiche o intergalattiche, abbiano lo stesso atteggiamento di nascondere intenzionalmente i loro segnali elettromagnetici sembra improbabile, nella migliore delle ipotesi.

Anche così, il recente articolo postato sul magazine online “Big Think“, intitolato “Dark Forest Theory: A Terrifying Explanation of Why We Haven’t Heard from Aliens Yet” di Scotty Hendricks, utilizza i principi delineati nel romanzo di fantascienza “The Dark Forest” per spiegare l’apparente silenzio radio del cosmo locale. 

Nel romanzo, l’autore, Liu Cixin, sostiene che il modo migliore per interagire con una vita aliena potenzialmente ostile è evitarla del tutto.

Come evitare alieni ostili?

Non segnalando mai la tua esistenza. Ma per noi è troppo tardi, sono almeno cento anni che inviamo segnali radio nello spazio

Come può spiegare qualsiasi astrobiologo degno di questo nome, qualsiasi civiltà tecnologica abbastanza avanzata e dotata di curiosità sarà già ben consapevole della composizione dell’atmosfera della Terra o di qualsiasi pianeta simile alla terra nella galassia molto prima di aver ricevuto una qualsiasi trasmissione radiotelevisiva.

Dopotutto, oggi gli astronomi hanno una buona idea di quanti pianeti simili alla Terra esistano entro mille anni luce dalla Terra in questo momento, solo 25 anni dopo aver rilevato il primo Gioviano caldo attorno alla vicina stella 51 Pegasi. 

Insomma, una civiltà aliena tecnologicamente avanzata abbastanza vicina, probabilmente sa della nostra esistenza da ben prima che cominciassimo a trasmettere segnali elettromagnetici.

Nel suo articolo, Hendricks cita dal romanzo “The Dark Forest” che “Tutta la vita desidera rimanere in vita. Non c’è modo di sapere in anticipo se altre forme di vita possono distruggerti e se lo farebbero, avendone la possibilità. In mancanza di garanzie, l’opzione più sicura per qualsiasi specie è quella di annientare altre forme di vita prima che abbiano la possibilità di fare lo stesso“.

A questo proposito, in un articolo del 1983 apparso su The Quarterly Journal of the Royal Astronomical Society, lo scrittore di fantascienza e astrofisico David Brin ha sostenuto che un’intelligenza extraterrestre avanzata potrebbe utilizzare sonde robotiche interstellari per annientare civiltà che hanno fatto lo sbaglio di palesare la propria presenza

Quindi, già quasi 40 anni fa, Brin osservava che questa potrebbe essere una delle risposte possibili al paradosso di Fermi e una delle ragioni per cui non riceviamo segnali intelligenti dallo spazio.

Questo criterio, il fatto che noi da cento anni non ci siamo preoccupati di evitare di disperdere nello spazio i nostri segnali elettromagnetici, palesando di fatto la nostra presenza, ci mette in condizione di doverci preoccupare che alieni ostili da un mondo remoto li ricevano e decidano di colpirci.

Ci sono, tuttavia, alcune obiezioni non ortodosse a questa preoccupazioni. È possibile che non riceviamo segnali dallo spazio perché:

  • Le civiltà aliene in grado di raggiungerci semplicemente non comunicano nello spettro radio. 
  • Gli ET non sono in grado di viaggiare su grandi distanze né di persona né roboticamente. 
  • Semplicemente non sono interessati a comunicare in qualsiasi forma. 
  • Oppure stanno seguendo una sorta di Prima Direttiva e sono venuti a trovarci di nascosto in passato o ci stanno visitando ora evitando di palesarsi. 

La maggior parte delle comunità tradizionali di astrobiologia e il SETI tendono a deridere pubblicamente quest’ultima idea, principalmente a causa delle discussioni sull’impossibilità di viaggiare su distanze interstellari. 

Beh, alla fine, ci sono molte cose che non sappiamo e un’eventuale visita da parte di alieni, robotica o di persona, non è oltre il regno delle possibilità.  

Tuttavia, concludendo, è importante ricordare a noi stessi che nessuna proposta di risoluzione del paradosso di Fermi è priva di lacune.

Inoltre, aspettarsi che una teoria o un teorico abbia tutte le risposte a un argomento tanto complesso (ma povero di dati) come l’esistenza di extraterrestri intelligenti è irrealistico quanto aspettarsi coerenza nel comportamento degli ET stessi.

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